Guerra in Medio Oriente

Il vero problema dei palestinesi non è Israele

Per capire il perché del feroce attacco di Hamas, bisogna dare uno sguardo all’economia. E agli accordi con l’Arabia Saudita

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Come tutti possiamo osservare in questa drammatica crisi in atto in Medio Oriente, c’è un fronte politico e culturale piuttosto eterogeneo il quale, più o meno esplicitamente, vorrebbe dare ad intendere che tanto Israele quanto l’Occidente a guida americana tendano da decenni a destabilizzare questa tormentata parte del mondo per tutta una serie di inconfessabili interessi. Interessi legati a particolari lobby e gruppi di potere che, ritenendo utile ai loro scopi il mantenimento dell’eterno conflitto tra arabi e ebrei, di fatto impedirebbero di trovare una soluzione soddisfacente per la causa palestinese.

Ora, tralasciando tutta una serie di evidenze, le quali inducono a pensare che forse il principale problema dei palestinesi è tutto interno al mondo musulmano, in merito ai veri interessi di Israele in particolare e dell’Occidente in generale occorrerebbe riflettere un attimo sulla propensione economica dei relativi Paesi. In sostanza, discorso che vale in fotocopia anche per l’Italia, detti Paesi sono caratterizzati da un’economia cosiddetta di trasformazione, risultando per questo sempre più integrati in una colossale rete di produzione e commercializzazione mondiale. Tale processo viene comunemente indicato con il termine, per alcuni dispregiativo, di globalizzazione.

Ebbene, il presupposto fondamentale affinché tali economie di trasformazione possano prosperare è legato ad una sostanziale stabilità. Stabilità che si basa sul presupposto di evitare ogni forma di conflitto tra le nazioni, sia commerciale e sia, come in questo caso, di natura bellica. In questo senso il perseguimento della pace rappresenta per chiunque basi il suo sviluppo su una crescente cooperazione tra i popoli un prerequisito essenziale.

Ne abbiamo avuto una conferma con la guerra in Ucraina, la quale ha creato enormi contraccolpi sul piano dell’approvvigionamento energetico e che se realmente essa fosse scaturita da una iniziativa occulta delle stesse lobby occidentali, sarebbe da considerarsi mossa a dir poco autolesionistica.

Tant’è che, tornando al tema principale della guerra tra Hamas e Israele, alcuni dei Paesi arabi più lungimiranti hanno compreso da tempo che è anche loro interesse stabilire amichevoli relazioni con lo Stato ebraico il quale, in un assetto di cooperazione con gli stessi Paesi arabi, potrebbe costituire un fattore trainante per la crescita dell’intera area mediorientale e di parte dell’Africa. Tant’è che proprio con gli accordi di Abramo, firmati col patrocinio degli Stati Uniti nell’agosto del 2020, Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e, successivamente, Marocco e Sudan hanno ufficialmente sancito l’intenzione di procedere in tale direzione.

Ed è in questo quadro che si stava andando per raggiungere nei primi mesi del 2024 una storica normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita. Normalizzazione che, ahinoi, il feroce e proditorio attacco di Hamas ha brutalmente interrotto, danneggiando un fruttuoso percorso di pace che avrebbe senz’altro avuto importanti ricadute positive anche e soprattutto per il popolo palestinese.

Dunque, a mio modesto parere, è proprio da qui che occorrerebbe partire per farsi una idea abbastanza chiara sulle reali motivazioni che hanno spinto Hamas e i suoi soci “occulti” a portare la loro strategia del terrore a livelli mai raggiunti in precedenza.

Claudio Romiti, 19 ottobre 2023

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