Cultura, tv e spettacoli

Il vero problema di Fedez è Fedez

Il rapper indagato per il presunto pestaggio a Cristiano Iovino a Milano. Lui nega, ma qui il vero dramma è un altro

fedez rissa

Quo vadis, Ferragnez? Della deriva grottesca, quasi fumettistica di Chiara Ferragni abbiamo detto, eccola adesso che, ereditiera di se stessa, tenta la carta del divismo hollywoodiano: una neanche capace di leggersi una letterina egolatrica. Fedez se possibile affonda ancora peggio in sabbie mobili di squallore: la sua vita a pendolo tra esibizionismo e vittimismo passa per il tribunale, dov’è indagato per una storia di regolamenti di conti a mezzo malavita da curva, ultras per spaccare le ossa a un personal trainer “dei vip”.

Tutto qui, l’universo Ferragnez? Tutto qui.

Un mondo al contrario dove la luxury è di quinta, aperitivi sui ghiacciai e derrate da supermercato fatte volare in un baccanale patetico, Lamborghini e soldi tirati ai barboni, attici come piazze d’armi e afflato ambientalista di stampo gretesco, perfino i bambini, povere stelle, poveri ricchi, fortunatissimi condannati: “E che? Loro sono l’unica mia vita, vi pare che speculo proprio su di loro? Ho imparato tanto dalle avversità, adesso voglio solo occuparmi di loro”. E subito partono per Las Vegas, Los Angeles, o per la presunta spedizione punitiva da maranza, da periferia di Buccinasco mai davvero lasciata. Il che sarebbe anche un po’ vile, perché se fai il duro allora regolatela da uomo, non chiamare una schiera di ceffi come in una disfida medievale. Ma queste sono considerazioni a margine, da vecchio patetico macho novecentesco che ha ancora un senso della dignità maschile ormai travolto dai tempi, dai festival fludificanti dove fanno vincere uno svizzero conciato come Barbie (e il general Vannacci s’incazza ossia non perde occasione, essendo in campagna elettorale).

O della deriva, dicevamo, di un capitalismo più o meno virtuoso che almeno sapeva dove andare, sapeva di avere anche qualche missione sociale suo malgrado: non alla Olivetti, che noia, che pesantezza progressista, ma se si vuole alla Ricossa, alla Block, l’individualismo che si riverbera sulla collettività naturalmente, quasi senza volerlo, senza accorgersene. Per fisiologica sociale.

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C’è un altro testo, oggi dimenticato, e invece da riscoprire, uno di quei libri insospettabilmente profetici nell’effervescenza degli anni Settanta del secolo scorso (anche se la prima stesura risale addirittura al 1959). Ne “La vita quotidiana come rappresentazione”, Erving Goffman aveva preconizzato a modo suo l’immaginario social: siamo tutti attori sociali, e i nostri comportamenti dipendono da un contesto fatto di una pluralità di suggestioni, di ruoli, di occasioni; siamo reali e insieme fittizi, vivendo recitiamo, non siamo mai completamente sinceri ma la nostra consistenza allo stesso tempo ci tradisce, impedendoci di essere chi vorremmo davvero: siamo chi siamo, seppure interpretiamo. Roba squisita.

Anche i Ferragnez sono chi sono, purtroppo, e loro malgrado. Questi contenitori di visioni vere e di valori finti (eccetto quelli bancari), questi erogatori di beneficenze strategiche, nello scenario migliore, si disvelano in giovani appassiti dall’avidità che, semplicemente, non sanno vivere. Come fa uno come Fedez, che può uscirsene di casa e tornarsene con una Ferrari personalizzata da trecentomila euro, così, solo per ammazzare il tedio di un pomeriggio, come fa a ritrovarsi nella merda di una indagine per un pestaggio su un istruttore di ginnastica di madame danarose? Che cosa lo spinge al cupio dissolvi, parallelo e in fondo identico, che distrugge l’ex moglie a Los Angeles, a Miami?

Sono i figli del qui ed ora, senza prospettive, senza radici, feticci di loro stessi, divinità senza identità e senza sacralità. Sono ragazzotti tragicamente alla deriva, che nessuno staff di comunicazione riesce a salvare da loro stessi, non sentono il bisogno di curare niente tranne l’apparenza che si fa non sostanza ma riccanza, investimento. Come diceva quell’altra influencer porno da Cruciani: “Non ho bisogno di leggere, di studiare niente, a me basta darla via, perché sono una figa”.

“La posta in gioco è il successo nella presentazione di se stessi”, scriveva Goffman un’epoca fa. Aveva inventato gli influencer, perché niente si crea e niente si distrugge nemmeno in sociologia – lui stesso pescava da Pirandello, in un certo modo; ma questo i Fedez e le Chiara non possono neanche sospettarlo. Magari lo sapevano quelli che li hanno inventati, i Ferragnez. Solo che qui la metafora teatrale scade a un sottolivello neppure di rivista, qualcosa che il grottesco lo supera, che sconcerta per la sua improbabilità fuori controllo, quasi agghiacciante.

In italiano le parole forse non si trovano, gli anglosassoni, ammesso ce ne siano ancora perché vogliono abolire anche questo termine, chissà perché patriarcale, “non inclusivo”, usano parole un po’ da fumetto, “cringe”, “trash”, per dire l’imbarazzo che sale dalla spazzatura etica.

E a noi non resta che deprimerci, più che sconcertarci: quo vadis, Ferragnez, ma quo vadis anche noialtri, che li abbiamo resi degli idoli. Ora, i seguaci, detti follower, non impareranno niente da questa storia truce ma istruttiva, a suo modo tragica, o, come mi ha scritto uno su X, “il vero livello dello showbusiness” con rara efficacia di sintesi. Un livello che mescola la rutilanza dello spettacolo con la foschia allucinata della malavita da hinterland e da curva. I seguaci sono in definitiva la gente e la gente è carne da cannone, da elezione, da vaccinazione e da esaltazione.

Questi no, ma magari il presidente, Mattarella, chi lo sa se non si sia pentito, se le rifarebbe ancora quelle raffiche di selfie con questi improbabili ex Ferragnez, al gran premio, a Sanremo, all’epoca in cui la coppia volatile, emblema del genderismo mistico, era in predicato di rappresentare la sinistra politica grillo-piddina e tutti dicevano, sì, saranno a volte sopra le righe ma quanto sono generosi, quanto sono solidali nel loro slancio verso i poveracci, i disgraziati; e i disgraziati erano quelli che li facevano straricchi, che si bevevano ogni miraggio sui social.

Max Del Papa, 14 maggio 2024

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