Potete girare e rigirare la frittata come volete, ma alla fine il problema italiano più stringete è la scuola. Non che sia decisiva individualmente, perché il più delle volte nella vita si afferma chi tra i banchi andava maluccio mentre i primi della classe restano al palo perché troppo scolastici. Tuttavia, è proprio nella scuola che le giovani generazioni, al di là della didattica e delle programmazioni che lasciano il tempo che trovano, fanno il loro primo incontro importante con la libertà e l’autorità. L’impressione che ne ricavano è formativa per la vita.
L’esperienza che la gioventù italiana fa a scuola oscilla tra lo statalismo e l’anarchia. Lo Stato si presenta come una mamma alla quale tutto va chiesto e dalla quale tutto ci si attende; allo stesso tempo, però, si apprende che in fondo lo Stato non è proprio una cosa seria e bisogna servirsene. La cultura italiana dell’individualismo statalista nasce proprio a scuola perché il modello della “scuola di Stato” fa sì che Scuola e Stato si confondano fino ad essere indistinguibili e introvabili. Non a caso nessuno ci capisce nulla su come e perché riformare la scuola.
Eppure, della scuola si parla persino al di là delle merendine. L’8 novembre si terrà a Milano l’incontro “Scuole pubbliche statali, scuole pubbliche paritarie e scuole del mercato: tesi a confronto” presso il Liceo classico Giosuè Carducci e il 14 a Roma ci sarà il seminario “Autonomia, parità e libertà di scelta educativa in Italia e in Europa” presso la Sala Convegni Usmi-Cism con l’intervento del presidente della Cei, il cardinale Bassetti. Ad animare questi incontri ci sarà suor Anna Monia che non si stanca mai di sottolineare l’importanza del valore delle scuole pubbliche paritarie per la stessa scuola ministeriale. Le scuole paritarie, infatti, sono così necessarie per il sistema statale dell’istruzione che se non ci fossero andrebbero inventate. Oggi le scuole paritarie sono 12.564 e offrono un servizio a 866.805 alunni e studenti. Le scuole statali, invece, sono 40.749 e hanno 7.599.259 studenti. Il sistema statale è così obeso che non può permettersi di ricevere quel milione di alunni e studenti che oggi si rivolgono alle scuole pubbliche paritarie. Però, le scuole paritarie sono in crisi e si calcola, sulla base dell’esperienza, che nel giro di un triennio chiuderanno tra le 2000 e le 3000. Così sul campo resteranno solo le scuole statali e le paritarie più costose, mentre tutti i discorsi che si sentono sull’eguaglianza e le pari opportunità restano ciò che sono: retorica di basso conio. Ma esiste una via diversa per salvare le scuole paritarie e riequilibrare il sistema scolastico nella sua interezza? Sì, il costo standard.
Oggi lo Stato spende per ogni allievo 10mila euro, mentre con il costo standard calcolato da suor Anna Monia il costo per ogni alunno, sia per le statali sia per le paritarie, è dimezzato: 5000 euro. Si tratterebbe di un’importante novità che avrebbe benefici economici, didattici e civili. Con l’adozione del costo standard, infatti, si farebbe funzionare la libertà di scelta delle famiglie che potrebbero finalmente essere libere di rivolgersi alla scuola che ritengono migliore e adeguata alle loro esigenze. È tutto pronto: costi, benefici, disegno di legge. Ma non si fa. Perché? È abbastanza semplice capirlo: perché non c’è una vera volontà né politica, né scolastica, né di categoria e si preferisce attendere la chiusura delle scuole paritarie che non ce la faranno a stare sul “mercato” per dividersi la torta all’interno di un sistema che di fatto è semplicemente pan-statale o monopolista.
Il più grande ostacolo, praticamente insormontabile, che ha davanti a sé la riforma del costo standard è il modello unico della scuola di Stato che si regge sul valore legale dei titoli di studio. Questo modello è talmente forte e unico – ossia monopolistico – che le stesse scuole paritarie sono gestite da privati ma in realtà sono statali a tutti gli effetti. Per esistere e farsi “riconoscere” son dovute diventare paritarie. Insomma, hanno adottato il modello unico della scuola di Stato. Se si vuole riformare la scuola e fare in modo che l’istruzione sia davvero un’esperienza formativa e di educazione alla libertà, sia per gli studenti sia per gli insegnanti, è necessario passare dal modello unico della “scuola di Stato” al modello della “scuola libera”.
La differenza è questa: nel primo caso esiste solo la scuola di Stato, nel secondo esiste un sistema più ampio in cui lo Stato amministra solo le sue scuole. Per effettuare questo passaggio che è prima di tutto culturale è necessario abolire o svalutare il valore legale dei diplomi che è il braccio armato con cui lo Stato, per suoi interessi amministrativi che non ricorda neanche più quali siano, scende in campo e statizza l’insegnamento.
Già sento il lamento su scuola pubblica e privata. È un’osservazione sbagliata perché la scuola è pubblica per definizione e con il sistema liberale si vuole uscire proprio dal monopolio statale che per paradosso privatizza la scuola ed è del tutto incapace di garantire quella pluralità educativa che serve alla contemporaneità. Una volta abolito il valore legale del diploma si adotterebbe la soluzione del costo standard per le scuole statali e le stesse scuole non-statali potrebbero garantire la propria offerta in base al costo standard. Una rivoluzione? Sì, ma necessaria. Naturalmente, per incamminarsi su questa strada bisogna avere la capacità di pensare lo stato, la scuola, la libertà, l’Italia.
Auguri.
Giancristiano Desiderio, 5 novembre 2019