Un amico imprenditore di Oristano, commentando un articolo di questa rubrica, mi scrive sollecitandomi a cercare di diradare la confusione che aleggia intorno ai termini liberalismo, libertarismo e liberismo. Lo ringrazio per la fiducia e per lo spunto.
Iniziamo dal termine più bistrattato ed equivocato, nonché il più pertinente per una rubrica che cerca di tenere vivo il pensiero di un grande maestro della materia. In Italia la parola “liberismo” è quasi sempre accompagnata da simpatici termini quali “selvaggio”, “feroce”, oppure “dilagante e incontrollato”, e generalmente chi usa questi termini non conosce minimamente il significato di liberismo. Si limitano a riportare la ricorrente mistificazione ideologica perpetrata dai giornaloni e da un mainstream unificato sull’argomento, da destra a sinistra.
Per capire che non è nulla di selvaggio e di mostruoso basterebbe consultare una enciclopedia o Wikipedia, le quali inizierebbero col dirvi che il liberismo è sinonimo di “liberalismo economico” e che, in buona sostanza, si tratta di una concezione economica incentrata sulla libera iniziativa individuale, sulla promozione di un sistema economico basato sul mercato di concorrenza, sul laissez-faire e il libero scambio delle merci nel commercio internazionale, con la limitazione delle attività dello Stato ad un ruolo di garante della proprietà e della concorrenza.
Il fatto è che il liberalismo ha avuto nei secoli numerose declinazioni e sviluppi teorici, e dire che liberalismo economico è sinonimo di liberismo non aiuta a fare chiarezza. Per il momento vediamo quindi come il grande Sergio Ricossa ci introduce al liberismo: “Nell’opinione comune, è la parte economica del liberalismo. Per i liberisti più ambiziosi, è invece la visione più pura e più integrale del liberalismo. La scelta di una parola diversa (Liberismo e non liberalismo) sarebbe motivata solo dall’opportunità di evitare gli equivoci sorti, col passar del tempo, intorno al liberalismo. Lungi dall’esaurirsi nella pratica grossolana del laissez-faire, il liberismo pretende una dignità filosofica e morale, innestandosi nell’individualismo.
Il collettivo, per i liberisti, è sempre e soltanto una riunione di individui, e non trascende mai dagli individui. Ne consegue che, nel liberismo, i doveri sono nient’altro che il “rovescio della medaglia” di diritti individuali altrui. Questo si connette all’idea liberistica per cui ogni individuo è differente dagli altri, unico e irripetibile. Nulla lo può sostituire, il che sancisce la preziosità, se non la sacralità, di ogni vita umana”. Sergio Ricossa – Dizionario di economia (Utet – 1998).
Niente di “selvaggio” dunque, ma una corrente di pensiero filosofico, economico e morale incentrato sull’’individuo, sulla sua libertà e dignità. Libertà, ad esempio, di agire attraverso strumenti come il libero mercato, la libera iniziativa opposta alle imposizioni collettivistiche, e l’importanza della contrattualistica privata. Temi su cui torneremo nelle prossime pillole.
Nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui, ogni individuo deve poter esprimere le proprie capacità e perseguire liberamente le proprie ambizioni, con spirito di inventiva e originalità, caratteristiche, queste, molto care al liberismo: “All’individuo occorre la libertà di scelta e di esperimento, per attuare la sua originalità, come condizione per essere ciò che gli altri non sono e non possono essere. Nel liberismo, dunque, v’è un umanesimo particolarmente sensibile all’innovatore, all’inventore, allo scopritore, all’artista, all’artefice, all’imprenditore”. [Ibid}
Un “umanesimo dell’innovatore”, con una propensione al rispetto della libertà di tutti e di ciascuno, e con un occhio di riguardo, certamente, alla libertà economica.
Fabrizio Bonali, 12 febbraio 2024