Il coronavirus ha saputo tenere chiuso in casa mezzo mondo, ma non quello dell’immigrazione irregolare. Quando il sultano Erdoğan ha innescato la guerra degli immigrati a fine febbraio, aveva tutte le carte in regola perché l’assedio alla “fortezza diroccata Europa” riuscisse. Ma prima del Coronavirus era stata la Grecia a tradire le aspettative: da subito il governo greco aveva revocato l’accesso all’assistenza sanitaria pubblica per richiedenti asilo e immigrati privi di documenti, aveva cambiato i criteri per le domande di status di asilo, aveva promesso di far rientrare gli oltre diecimila immigrati illegali entro la fine del 2020 e aveva approvato una legge che regola tutte le ONG che si occupano di immigrati con l’obiettivo di garantire che le organizzazioni non governative smettessero di trarre profitto dalla migrazione di massa.
La Grecia da vittima a carnefice
Nonostante l’assedio al confine, durato giorni, la Grecia aveva dato prova di saper difendere i confini europei con eroismo. E mentre l’arroganza di Ankara lasciava indifferente l’Ue, è arrivato il coronavirus a mettere in pausa i sogni del sultano.
Ma fino ad un certo punto, perché se il mondo si è fermato, lo stesso non si è potuto dire dell’immigrazione irregolare.
Atene aveva sospeso tutte le domande di asilo all’inizio di marzo, mentre la Turchia senza pudore premeva per lasciare che gli immigrati usassero comunque la Grecia come porta d’ingresso all’Europa. Nei giorni di maggiore tensione, in oltre 15 mila avevano tentato l’assedio dei confini: si trattava, e si tratta, degli sfollati in fuga da Idlib, la provincia della Siria dove l’esercito turco difende i tagliagole terroristi di Al Qaida e i ribelli jihadisti, minacciati dalle truppe sostenute da Putin.
La Grecia era passata, in breve, da vittima a carnefice. Non solo nella narrazione imposta dai media, quel chiudere le porte d’accesso all’Europa, è stata infatti una decisione ampiamente criticata dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni per i diritti umani che hanno sostenuto la violazione del diritto europeo e internazionale.
Ben 85 organizzazioni per i diritti umani nel mondo hanno firmato il 6 marzo una lettera aperta chiedendo al governo greco di ritirare il decreto di emergenza che sospende le procedure di asilo.
Coronavirus, fermi tutti tranne gli immigrati
Pochi giorni dopo la Commissione europea raccomandava una limitazione temporanea dei viaggi non essenziali da paesi terzi verso “l’area UE +” per 30 giorni. L’8 aprile, la Commissione europea prorogava la limitazione temporanea fino al 15 maggio. Un fermo originato esclusivamente dalle preoccupazioni circa l’epidemia da coronavirus. E motivazioni inequivocabili sono state date da Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione per la promozione dello stile di vita europeo: “Mentre possiamo vedere i primi risultati incoraggianti, è necessario prolungare le restrizioni di viaggio per continuare a ridurre ulteriormente i rischi della diffusione della malattia. Non dovremmo ancora lasciare la porta aperta mentre stiamo assicurando la nostra casa.”
Ovviamente s’è trattato di restrizioni per i comuni mortali, non certo per gli immigrati. Tant’è vero che un documento della Commissione europea, datato 30 marzo, esentava dalle limitazioni dei viaggi le persone “bisognose di protezione internazionale o per altri motivi umanitari”. Ciò significa che quanti chiedono, e hanno chiesto, protezione internazionale non possono essere respinti e che il diritto di immigrati e rifugiati a presentare domanda di asilo non può essere sospeso, nemmeno al tempo del coronavirus.
La Grecia aveva sospeso tutte le domande di asilo in base all’articolo 78, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in cui si afferma: “Nel caso in cui uno o più Stati membri si trovino di fronte a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure provvisorie a beneficio degli Stati membri”. La Commissione europea, tuttavia, non ha approvato. E il commissario per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha immediatamente ordinato alla Grecia di consentire agli immigrati che Erdoğan portava al confine, di presentare domanda di asilo.
“Gli individui nell’Unione europea hanno il diritto di presentare domanda di asilo. Questo è nel trattato, questo è nel diritto internazionale. Questo non possiamo sospenderlo”, ha sostenuto la Johansson. Da allora la Grecia è stata costretta ad archiviare i buoni propositi.
La vita di gran parte degli europei è stata sospesa a causa del coronavirus, per molti la sopravvivenza è stata compromessa non dall’epidemia, ma dalla perdita del posto di lavoro, eppure l’Ue ha dimostrato che se c’è una cosa che non è disposta a sospendere, indipendentemente dalla gravità del contesto storico-politico, è l’immigrazione. Volontà che è stata raccomandata e ribadita il 16 aprile, quando la Commissione europea ha sottolineato ancora una volta che la registrazione e il trattamento delle domande di asilo devono continuare, “anche in caso di emergenza sanitaria”. La guida della Johansson ha indicato anche che le interviste personali con i richiedenti asilo possono essere condotte mediante videoconferenza durante la crisi, o omesse se necessario. E mentre la guida sul trattamento da riservare agli immigrati veniva pubblicata, l’Ue iniziava i primi ricollocamenti di minori non accompagnati dai campi sulle isole greche in Belgio, Bulgaria, Francia, Croazia, Finlandia, Germania, Irlanda, Portogallo, Lussemburgo, Lituania e Svizzera.
I numeri dell’invasione
Secondo Atene, circa 100.000 richiedenti asilo sono attualmente in Grecia, di cui 40.000 distribuiti tra le isole di Lesbo, Chio, Leros e Kos. E se nel 2019, le isole greche sono state la principale porta d’ingresso dell’Unione europea per l’immigrazione irregolare, secondo Frontex, il 2020, nonostante la quarantena non sarà da meno. La Grecia è stata costretta a lasciare le porte aperte e ad accettare le richieste d’ingresso, ma non è stato l’unico Paese travolto dall’ondata migratoria inarrestabile.
I tentativi di attraversare la Manica continuano a ritmi sostenuti, e il ritorno a Calais resta una priorità, nonostante la pandemia: la scorsa settimana, in un solo giorno, 110 migranti sono stati salvati dalle autorità francesi e britanniche. Allo stesso modo “l’Italia chiusa” e in quarantena da tre mesi è rimasta aperta ai clandestini e al business dei trafficanti.
Sono 4.069 dall’inizio dell’anno rispetto agli 842 dello stesso periodo nel 2019, gli immigrati sbarcati in Italia. La scorsa settimana c’è stato anche uno sbarco fantasma in provincia di Agrigento. Circa cinquanta migranti si sono dileguati e le forze dell’ordine ne hanno intercettati solo una trentina. Nella speranza, poi, di tamponare l’ondata di arrivi per la bella stagione, la Guardia costiera ha sottoposto a «fermo amministrativo» l’Alan Kurdi, che aveva portato in Italia 149 migranti poi trasbordati sul traghetto Rubattino. Quello che ha ospitato i 182 clandestini raccolti in mare dalle Ong in aprile e che è oggetto di un’interrogazione parlamentare – firmata dal senatore La Pietra – per la costosissima quarantena a carico degli italiani. Ogni 15 giorni sarebbe costato circa un milione di euro e mezzo, oltre 350 euro al giorno a persona. E fra i vari servizi sono stati richiesti anche «cabine singole con bagno, pasti etnici, connessione wi-fi, regolamenti tradotti in almeno dieci lingue».