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Il virus ha smascherato l’incapacità di chi ci governa

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In ogni provincia italiana, dopo il lockdown, le aziende sanitarie locali garantiranno la sorveglianza attiva con test rapidi, tamponi, test sierologici, isolamento individuale? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre e che va posta al governo e ai governatori pretendendo una risposta precisa e circostanziata. Tutto il resto, per dirla con Califano, è noia. E, a tal proposito, sono davvero molto utili per capire come stiamo messi le parole di Angelo Borrelli, capo della Protezione civile, che dopo due mesi dalla dichiarazione dell’emergenza nazionale e dopo un mese di bollettini mortuari, ha detto che se continua così, ossia con una crescita del contagio che è stabile intorno al 4 per cento, a maggio si potrà mettere mano alla cosiddetta “fase due”. Però, ha aggiunto Borrelli, bisogna fare attenzione perché “basta un nonnulla e la curva può riprendere a salire”. Ecco, proprio questo è il punto: che si fa se il contagio risale? Ci sarà la sorveglianza attiva o ci barricheremo nuovamente in casa come tanti indifesi conigli ignoranti?

Se si pensa di porre fine agli arresti domiciliari quando non ci sarà più il virus si pensa un’illusione o un inganno. In realtà, già oggi sappiamo che il virus non scomparirà come per incanto. Già oggi sappiamo che il virus continuerà a circolare e che, forse, come quasi sempre accade con le epidemie, ci sarà anche una seconda ondata. Si tratta di capire se ci faremo trovare preparati con una risposta razionale e utile o se ci faremo trovare per la seconda volta impreparati. La lezione da imparare dalla storia della nostra impreparazione – la lezione che ci dà la storia, non di certo io, perché le lezioni si prendono, non si danno come diceva Pavese – è se siamo in grado di adottare in modo lucido e tempestivo il metodo della sorveglianza attiva isolando il contagio e lasciando alla vita civile di continuare a lavorare nell’interesse dei vivi e dei malati o se, invece, come se non avessimo un dramma nazionale alle spalle ci faremo nuovamente prendere dal panico, ci chiuderemo in caso e riprenderemo allegramente a colpevolizzare chi passeggia, chi critica, chi vuole lavorare perché al mondo non è stato inventato ancora un altro modo per stare al mondo. Ecco perché oggi – oggi – il compito più importante sia del governo sia delle regioni non è quello giustizialista di far credere che chi esce è responsabile della diffusione del virus, che infatti circola indisturbato nelle case, bensì l’altro e decisivo di organizzare nei presìdi delle aziende sanitarie locali la strategia della sorveglianza attiva che – come già detto in altri articoli – è semplicemente il metodo classico che si usa nel controllo e nella mitigazione delle epidemie.

Questo è uno strano Paese. Le classi dirigenti poste davanti all’infezione da Covid-19 hanno avuto due reazioni tra loro opposte. La prima è stata quella dell’allegria, dell’apericena e dell’immancabile accusa di razzismo e di inciviltà scagliata contro chi sollevava qualche dubbio e auspicava di non farsi trovare impreparati. La seconda è stata quella del fuggi fuggi, della chiusura totale, del dagli all’untore e della delazione elevata a senso di responsabilità civile. In entrambi i casi, sia con il metodo Apericena sia con il metodo Chiudi Tutto, a pagare i danni umani ed economici – dove i secondi non sono meno umani degli umani – chi è stato? I più indifesi. I più fragili. I più esposti. I più diseguali. Le classi dirigenti progressiste, che hanno sempre pronta a portata di mano la predica sull’uguaglianza e le pari opportunità, si sono chiuse dentro e hanno dato la parola d’ordine – guai a chi esce, chi esce è incivile –  ma non hanno minimamente considerato che la gran parte dei diseguali non ha le loro case, non ha i loro guadagni, non ha un sistema di benessere diffuso che permetta un piacevole dolce far niente. Eppure, vedrete che una volta passata la tempesta si ricomincerà pari pari con gli stessi discorsi dell’uguaglianza e delle pari opportunità che nel momento della prova e del bisogno sono regolarmente traditi.

La vera vittima illustre, si fa per dire, del Covid-19 è la classe dirigente italiana, quella dell’Anticasta e del Giustizialismo, che ha dimostrato con i fatti di essere assolutamente impreparata a governare e che posta davanti ad un’infezione oscilla tra la commedia e la tragedia elaborando astruse teorie di crisi del capitalismo e avanzando come soluzione del dramma l’origine del problema: l’eterno statalismo. E’ questa una classe dirigente che crede che il futuro dell’Italia sia pagare i debiti con i debiti e far soldi con la zecca dello Stato perché ha una concezione semplicemente rancorosa e invidiosa della società e del lavoro che considera un mezzo e un peso da cui sgravarsi per tenere gli uomini uguali non nella libertà, unica uguaglianza possibile, ma nella miseria.

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