Il virus più mortale è l’uso corrotto della terminologia politica che utilizza metafore ingannevoli per ipnotizzare la popolazione e renderla ancora più docile e dipendente dallo Stato. Si dice, ad esempio, che ci troviamo a combattere “una guerra” e che quando la vinceremo, sarà necessario iniziare la “ricostruzione”. Tuttavia non siamo né in guerra, né è necessario ricostruire nulla. Fortunatamente, tutte le nostre fabbriche, le nostre strutture e i nostri beni di capitale sono intatti. Aspettano solo che domani torniamo a lavoro usando al meglio le nostre energie e il nostro spirito imprenditoriale per poter riprenderci rapidamente da questa brusca battuta d’arresto. Perché tutto ciò possa avvenire, però, è essenziale che vi sia una politica economica basata su meno Stato e maggiore libertà d’impresa, che riduca le tasse e le normative, risani e cerchi l’equilibrio dei conti pubblici, liberalizzi il mercato del lavoro e generi sicurezza giuridica e fiducia. E nello stesso modo in cui, dopo la seconda guerra mondiale, la Germania di Adenauer ed Erhard emerse grazie a questa politica liberale da una situazione molto più grave, il nostro paese sarà condannato a viaggiare al rallentatore e a vivere impoverito se insisteremo nel seguire la strada opposta, quella socialista.
Il virus più letale consiste nella deificazione della ragione umana e nell’uso sistematico della coercizione che s’incarna nello Stato. Quest’ultimo ci si presenta con la pelle d’agnello come la quintessenza di un “buonismo” che ci tenta con la possibilità di raggiungere il nirvana qui e ora; di conseguire la “giustizia sociale” e porre fine alla disuguaglianza, dissimulando che il Leviatano si nutre dell’invidia ed esacerbando l’odio e il risentimento sociale. In definitiva, il futuro dell’umanità dipenderà dalla sua capacità di immunizzarsi dal virus più letale: il socialismo, che infetta l’anima umana e che ha infettato tutti.