Poi prova a dire che l’anno nuovo chissà che porterà, quante belle novità. La fava, porta. Prova a dire che a Capodanno bisogna sperare, mangiare l’uva e sperare, che non bisogna essere disfattisti, che le cose cambieranno, sai i colpi di scena, i rivolgimenti della storia. Ma quale. L’anno che verrà è solo la prosecuzione dell’anno che se n’è andato e porta le identiche tragedie & cazzate. Non ci credete? Allora gustatevi questa Ilaria Salis di inizio calendario, allucinante come un anno fa, peggio di un anno fa. L’eterno ritorno dell’apparentemente demenziale e del veramente squallido: si mette (idealmente) in galera al posto della Cecilia Sala per enfasi narcisistica, e, non contenta, paragona l’Ungheria all’Iran.
Ma andiamo alla fonte, se no poco ci si crede e ancor meno si capisce. Ecco qua il lancio d’agenzia che riporta i vaneggiamenti della nostra Superciuck immobiliare, che occupa le case dei poveri per darle ai ricchi e/o ai fannulloni da centro sociale, suoi caballeros, se non peggio: dietro ogni occupazione, ogni abuso sistematico, ci sta, regolarmente, il racket degli alloggi sul quale la nostra europedutata non si fa sfuggire un fiato di denuncia. In compenso, si produce in passaggi memorabili come il seguente: “Non posso fare a meno di ricordare il periodo in cui anch’io fui messa in isolamento in una prigione di un paese straniero, lontano da casa. Le condizioni degradanti e pericolose in cui è detenuta Cecilia nel carcere di Evin a Teheran sono persino peggiori di quelle che ho vissuto a Budapest, e il solo pensiero mi dà i brividi. Nel mio caso, il sostegno di tantissime persone è stato fondamentale, indipendentemente dal fatto che condividessero o meno le mie posizioni politiche. È questo il modo giusto di agire: unirsi per combattere l’ingiustizia e difendere la dignità umana. Questa solidarietà non sminuisce – anzi rafforza – quella che dobbiamo a tutti i giornalisti e le persone cui viene tolta la libertà, che rischiano, e a volte pagano con la vita, per raccontare la verità. Dalla Palestina all’Iran, dalla Siria alla Turchia, fino all’Ucraina e alla Russia. Infine, è essenziale ricordare che la vicenda di Cecilia si inserisce in un contesto più ampio, quello dello straordinario movimento sociale ‘Donna, Vita, Libertà’, che continua a lottare con coraggio, indomito nonostante la feroce repressione. FreeCecilia, libere tutte”. (ANSA).
Se questa è un’eurodeputata. Ed ecco la decifrazione, non così ovvia, non così inutile, perché dietro tanta miseria ci sta una mediocrità anche più profonda, più aberrante, che va denudata. Certo, cogliere la vanità e perfino l’arroganza – mi avete votata in moltitudini, sono famosa, sono potente e resto impunita – è immediato, è inevitabile; senonché la supplente con villa in Brianza che gioca alla rivoluzione ne usa e abusa per rilanciare una propaganda penosa: che senso, che logica ha, se non quella del populismo estremistico, ricondurre l’ostaggio Sala al “contesto più ampio” di un movimento femminista militante? Esclusivamente quello, insopportabilmente malizioso, di rimuovere il contesto reale, le vere questioni e ragioni di un sequestro a scopo di ricatto geostrategico. Quanto a dire difendere l’indifendibile. Salis sembra servirsi della podcaster reclusa in un regime teocratico per soddisfare la propria vanità e nel contempo per comparare l’Ungheria, che con tutte le sue mancanze resta comunque nell’Europa garantista e formalmente democratica, alla dittatura degli ayatollah.
Vogliamo discuterne? Vogliamo affermare che anche in Ungheria vengono commessi abusi, che quella magiara non è una democrazia solida, compiuta? Se volete, se avete tempo e voglia dopo un cenone festaiolo, ma non certo con una ex detenuta che tuttora Budapest vorrebbe processare, non dimentichiamolo, per la presunta aggressione insieme a un commando di compagni giustizieri da strada, senza contare gli altri precedenti in Italia. Questa incredibile Salis arriva al massimo a riconoscere che le condizioni di Sala sono peggiori di quanto non fossero le sue; ed è tutto ciò che riesce a concedere. Non spende una parola per denunciare apertamente un totalitarismo come quello iraniano, ci gira intorno, arriva a giustapporlo al regime ungherese per il quale ha instancabilmente usato parole di fuoco.
Mettere sullo stesso piano Ungheria e Iran significa giustificare l’Iran, equivale a relativizzarlo, a disinnescarlo con le farneticazioni dei pazzoidi dei centri sociali, della sinistra antagonista e casinista, dei Peter Pan con la spranga blindati per potere di censo e di status. In aggiunta, il pappone globale in cui Salis pretende di collocare i giornalisti vittime è peggio che sconclusionato, è la falsa stramberia che nasconde l’ambiguità: “dalla Palestina all’Iran, dalla Siria alla Turchia, fino all’Ucraina e alla Russia”. Questo sì che è denunciare (quasi) tutti per stare con tutti ovvero tenere il piede in due staffe: quella dell’antagonismo anticapitalista e antioccidentale e l’altra del conformismo propagandistico unionista che garantisce il vitalizio. Perché vanno bene le pastasciutte solidali all’Askatasuna, ma il bonifico mensile ha pure i suoi perché, in forma di prezzi da pagare in termini di coerenza, di trasparenza. Ma questo non imbarazza la nostra maestrina che ne esce con l’appello inconsistente, retorico, alla causa delle donne. Con gli hashtag, “#freeCecilialiberetutte”.
Libere tutte a partire da me, me e ancora me. Poi, vabbè, l’occasione cogliamola, parliamone pure di questa Sala, come si fa a star zitti? Ma allo slancio della pietas è difficile credere, perché le nostre azioni ci seguono e la nostra fama ci precede. Chi ne scrive, ed è solo la sua opinione, ma radicata, resta convinto che il 20% di scempiaggine serva a coprire il restante 80% di cinismo, di spregiudicatezza da una che predica nei peggiori covi teppistoidi la lotta e la rivolta “con ogni mezzo”; insomma il calcolo, gelido, opportunistico dietro la facciata dell’empatia. La ex maestra dirottata all’Europarlamento per indiscussi meriti è una quarantenne miracolata che ha intuito, forse confusamente ma con spietata determinazione, che la politica oggi si fa sui social e più è inconsistente, più è qualunquisticamente insulsa, e più rende. E almeno in questo una logica c’è: se alligni nella sinistra ultrainsurrezionalista non puoi permetterti il lusso del cedimento, tutto deve essere falso, strumentale, all’occorrenza cattivo. A partire dall’umanitarismo solidale sbandierato ma strumentale. È il comunismo, bellezza, e Marx avvertiva gli adepti: mentire sempre, tradire all’occorrenza, la rivoluzione non è un pranzo di gala. Tranne per chi la predica, a cavallo tra centro sociale e centro di Bruxelles.
Max Del Papa, 3 gennaio 2025
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