Politica

Ilaria Salis insiste e persiste. Ecco smontata la sua diabolica teoria

Salis carcere © RDNE Stock project tramite Canva.com

A questo punto la condizione di Ilaria Salis è un caso di salute pubblica. Non la sua, della quale poco ci importa e in ogni caso va a gonfie vele: quella generale, del Paese. La ex maestrina precaria dedita a lezioni di antifà infà, nel senso di infantile, non paga delle figure inanellate un delirio dopo l’altro, le ribadisce; lo fa con la spocchia patetica tipica dei comunisti, che più si coprono di ridicolo e più alzano la cresta.

“Visto che c’è chi è un po’ duro di comprendonio (o in malafede?), vi spiego molto semplicemente perché il sistema carcerario è razzista e classista. A parità di reato contestato una persona italiana e benestante in galera non ci finisce, mentre una straniera e povera ci finisce eccome. Avete mai visto il rampollo italico di una buona famiglia del centro di Milano o Roma finire dietro le sbarre? Quanti sono invece i giovani delle periferie sbattuti nelle carceri sovraffollate per reati di lieve entità? Sul nesso tra classe, razza e sistema carcerario ho già scritto e argomentato – e continuerò a farlo -, così come lo fanno con grande professionalità associazioni, esperti, accademici e attivisti. Eppure la constatazione oggettiva che le carceri sono razziste e classiste crea grande scompiglio. Forse perché si ha la coda di paglia?”.

Ilaler persevera o perseguita? Comunque è diabolica: almeno il padre è scappato dai social, la sua tracotanza gli è franata addosso e perfino lui si è scoperto indifendibile da se stesso. Lei no. Con cipiglio didattico, insiste e persiste, esponendosi a commenti assai più gustosi, più sagaci: “Luoghi comuni ne abbiamo?”. “Fattela finita”. “Ma che stai a dì, ma non ti vergogni ancora?”. “In prigione dovresti starci tu per prima”. Eccetera. Un rosario di compatimento, il tronfio trionfo del patetico. Ilaler, una occupatrice a Bruxelles, per tacer del resto, non si accorge di praticare come minimo un clamoroso outing o coming out che sia: “Una persona italiana e benestante in galera non ci finisce”. In Italia, no: in Ungheria magari, ma poi basta farsi eleggere e tutto va a posto.

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Quanto poi ai giovani delle periferie bla bla bla, semplicemente è una palla: nessuno finisce dentro per reati di lieve entità, che poi, poche storie, sarebbe lo spaccio polverizzato, ciò che magari Salis vuol depenalizzare, siccome c’è una coerenza nel peggio. Ma, semplicemente, non è vero: già è un miracolo se dentro ci finisce qualche balordo che scanna, sgozza, stupra; più facile che finisca in caserma e ne esca dopo dieci minuti, previo “monito del questore”: le leggi italiane queste sono, e, se qui è lecito aprire e subito chiudere una parentesi polemica, le cose andrebbero riferite per quelle che sono, non avvolte nella carta stagnola della retorica: dietro gli assalti ai prontosoccorso, in particolare del sud, ci stanno figli di mafiosi, balordoni strafatti, clan di rom pluripregiudicati, come a Pescara: tutta gente che per l’appunto dovrebbe stare sepolta in cella e invece, siccome circola un lassismo pornografico che si traduce in impunità generale, questi sono i risultati: poi hai voglia a mettere l’ometto in divisa sulla porta o a promettere maggiore vigilanza. Sono le solite operazioni di parata, o di mala parata.

Ilaler delira e le fanno notare che, se mai, ad essere “rassista”, proprio a voler seguire il suo farneticante argomentare, sarebbe la magistratura: non le case circondariali, che, in quanto tali, sono strutture murarie, insomma stabili senz’anima (questi però non le suscitano alcun orgasmo occupatorio, se mai vanno riconvertite in centri sociali). Ma Ilaler, attaccare la magistratura non può: questa nostra magistratura è rea confessa, complice della sinistra per la quale milita e farnetica, non conviene, non si può, è lo stesso potere che la tiene fuori, Salis, al caldo anziché al fresco, dopo 4 condanne definitive e 29 precedenti di polizia. Allora conviene pigliarsela coi muri. Le prigioni razziste, le celle e le sbarre che ce l’hanno contro gli onesti criminali degli united colors.

“Sul nesso tra classe, razza e sistema carcerario ho già scritto e argomentato – e continuerò a farlo -, così come lo fanno con grande professionalità associazioni, esperti, accademici e attivisti”. Più che nesso, sconnesso già dalla sintassi. Ma che volete, Ilaler è ultracomunista, e l’analisi logica invece è fascista: le andrebbe spaccata la testa, all’analisi logica, e anche a quella grammaticale, magari col vigoroso apporto di attivisti ed esperti di grande professionalità: chissà perché, viene subito in mente Raimo, vestito da Batman.

Perché lo fai, Salis, perché ti fai del male, perché ti fai così? C’è chi dice che la questione è drammatica, irrimediabile: ma noi crediamo poco alle facili interpretazioni psichiatriche, propendiamo se mai a banali lacune educative quando era il tempo, dopodiché una cresce come cresce, da irrisolta che si balocca tra un centro sociale e un’osteria, fino a ritrovarsi all’Europarlamento senza saper che fare (dai, Calcare, facci due disegnini). Altri, forse più sagaci, insinuano: ma dai, sta facendo teatro per coprire il bonifico mensile, i trentamila staccati dalla Banca Centrale Europea, questa è una ultracomunista che sta incistata nel falansterio bancario e finanziario: vuoi che non pratichi un po’ di sana paraculaggine per farlo dimenticare? Insomma tira su il pugno, poi lo apre e intasca. Però con grande sussiego, alla rivoluzionaria, sempre in memoria dei dannati della terra, il quarto stato, il proletariato unito.

E lo è, un caso di salute pubblica, perché è vero che anche in Germania hanno le loro Carole, però noi abbiamo fatto en plein, sempre grazie all’agenzia di collocamento Fonelli&Bratoianni: gente che scrive, ma non sa leggere, che moraleggia, ma dal basso dei propri precedenti, gente che viene pagata per dare i numeri. E, mettila come vuoi, la morale però è una sola: qui c’è una che è stata tolta da una sana galera grazie ai “rampolli italici di una buona famiglia del centro di Milano” che l’hanno votata, garantendole impunità più che immunità. Il caso di salute pubblica sono loro, anzi siamo noi.

Max Del Papa, 19 settembre 2024

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