ILVA: LA BUFALA DEI DATI SULLE MALATTIE
Il rapporto epidemiologico moralmente responsabile dell’incarcerazione (ancorché ai domiciliari) di persone innocenti avrà un prezzo elevato, come immagino risulta dalla parcella, ma non ha alcun valore scientifico: è, esso, un esercizio accademico di statistica fondato su ipotesi errate e risultati inconcludenti. Come si evince da ciò che scrivono gli stessi Autori nel capitolo reso disponibile (quello conclusivo).
Il primo quesito posto dai committenti chiedeva gli inquinanti del caso e le patologie associate. Se la domanda avesse interessato non l’Ilva ma la vostra automobile, la risposta sarebbe stata la stessa. Correttamente gli Autori precisano che «stabilire se l’esposizione ad un agente sia causalmente associata ad effetti sanitari è semplice quando l’esposizione è condizione necessaria e sufficiente per la patologia». Ad esempio, contraete epatite B se e solo se esposti al virus. Se invece il nesso è casuale (e questo è il caso di cui si tratta qui) le cose si complicano dannatamente e, in particolare, non si può decidere né se gli esposti sviluppano la patologia né se chi l’ha sviluppata lo ha fatto perché esposto. Bisogna allora affidarsi alla statistica, scienza che più di una volta gli epidemiologi hanno dimostrato di non sapere usare.
Quelli del rapporto candidamente dichiarano di avere assunto che gli effetti degli inquinanti sono lineari-e-senza-soglia. Grave, gravissimo errore, che da solo basta a inficiare tutti i successivi risultati. Per capire l’ipotesi, supponiamo di avere accertato che ingerire in una volta la dose di caffeina contenuta in 200 caffè vi porti all’obitorio con probabilità 1/2. L’assunzione lineare-senza-soglia dice che con la caffeina di 1 caffè la probabilità di morire è di 1/400. Attenzione: la prima probabilità detta (1/2) è vera ed accertata, l’ultima (1/400) è una congettura. Ed è sicuramente falsa, ma pur tuttavia utile in ambito protezionistico. Altrettanto sicuramente, però, non può essere usata, come fanno gli epidemiologi inesperti, in ambito patologico. Essi così ragionano: se ipotizziamo che la probabilità di morire dopo aver bevuto un caffè è 1/400, allora se 400 individui ne hanno bevuto uno, uno di essi deve per ciò essere morto. E se a Taranto ieri mattina 400mila individui hanno preso un caffè, ieri mattina sono per ciò deceduti 1000 tarantini.
L’errore è nell’aver usato quel dato (probabilità 1/400) per valutazioni patologiche. Per capirci: se mi chiedete quanti caffè potete bere in una volta accettando una probabilità di morire di 1/400, io vi suggerisco il limite di 1 espresso; se accettate una probabilità di morire di 1/200 vi concedo un espresso doppio. Questa è protezione. Passare alla patologia non si può. Lo fecero gli epidemiologi che all’indomani della disgrazia di Chernobyl pronosticarono decine di migliaia di decessi per tumore alla tiroide: furono invece registrati, in 25 anni, 15 decessi per tumore alla tiroide, tanti quanti se ne registrano, in 25 anni, in qualunque altra parte del mondo ugualmente vasta. E lo fecero gli epidemiologi che stimarono un incremento del 500% dei casi di leucemia attorno alle antenne di Radio Vaticana: non vi fu alcun incremento. Gli Autori del rapporto-Ilva precisano che l’ipotesi lineare-senza-soglia è coerente con la normale prassi scientifica: sì, ripeto, ma solo in ambito protezionistico.
Nei quartieri incriminati gli Autori attribuiscono alle emissioni dell’Ilva 9 decessi l’anno per 100.000 abitanti, che sono, dicono, l’1.2% dei decessi. Cioè nei quartieri incriminati vi sono 750 decessi l’anno ogni 100.000 abitanti. A parte il fatto che in Italia muoiono ogni anno 1000 persone ogni 100.000 abitanti, attribuire precisa causa a 9 casi su 750 può farsi solo con un esercizio accademico di statistica necessariamente inficiato da ipotesi errate. Gli stessi Autori lo scrivono: «la popolazione studiata è piccola, il numero di eventi poco numeroso e ciò comporta forte incertezza nelle stime e ampi intervalli di confidenza». È vero che aggiungono: «I risultati sono coerenti con la letteratura», ma se il loro rapporto farà mai parte della letteratura, anch’esso sarà invocato da un altro rapporto stravagante a sostegno delle proprie stravaganze.
Taranto è uno dei principali porti di distribuzione di sigarette di contrabbando, che la polizia ha trovato contraffatte, contenenti aggiuntive sostanze tossiche. Nei quartieri incriminati hanno precarie condizioni socioeconomiche, ed è in questi quartieri che i fumatori acquistano sigarette di contrabbando, che costano meno. Hanno gli Autori considerato questo importante fattore? Sulle sigarette sono inequivocabili: «non abbiamo avuto la possibilità di controllare per i fattori di rischio individuali il fumo di sigarette». Di sigarette contraffatte, poi, sembra ne disconoscano l’esistenza.
Scrivono, ancora: «Molti lavoratori prima che all’Ilva avevano prestato servizio presso l’Arsenale, al quale abbiamo chiesto dati che non sono pervenuti. Non è stato pertanto preso in considerazione questo fattore confondente, che però riteniamo estremamente improbabile». Se lo ritenevano estremamente improbabile, perché hanno chiesto i dati? A leggere il rapporto sembra che la loro irrilevanza sia emersa solo dopo che ci si è dovuti rassegnare alla loro indisponibilità.
Infine, ma non ultimo, ancora gli stessi Autori: «È chiaro che per quanto riguarda i tumori l’esposizione rilevante è occorsa negli anni 60-80». Già, ma i dati di inquinamento sono recenti, e in quegli anni l’inquinamento dal parco automobilistico, ad esempio, faceva impallidire quello di qualunque azienda.
In tutto ciò che ho letto una cosa è chiara: gli Autori si raccomandano che l’indagine epidemiologica prosegua. Ma è, questa, la raccomandazione finale di ogni indagine epidemiologica. I magistrati e i responsabili politici dovrebbero tenere bene in mente che l’epidemiologia, ancorché interessante strumento d’indagine, non è una scienza.
Franco Battaglia, Il Giornale 17 agosto 2012