In queste ultime settimane l’ex Ilva di Taranto è tornata al centro del dibattito. L’assoluzione di Fabio Riva dall’accusa di bancarotta fraudolenta, le tensioni tra il governo e il nuovo proprietario ArcelorMittal e la gru caduta in mare con un operaio disperso.
Ecco una trilogia del professor Franco Battaglia scritta per Il Giornale tra luglio e agosto 2012 che spiega tutti i dubbi sulla questione ambientale che ruota attorno all’acciaieria. Articoli scritti dal professore nei giorni successivi al provvedimento di sequestro dello stabilimento e all’arresto dei dirigenti con l’accusa di disastro ambientale, ancora tutta da dimostrare.
CHE ASSURDITA’ FERMARE L’ILVA
Quello dell’Ilva appare essere l’ennesimo caso di montatura mediatica, reso possibile da una magistratura coi paraocchi, un governo che da quando è sedicente tecnico brilla per dilettantismo e da un mondo ambientalista che ancora una volta rivela la propria vera natura: quella del racket che, pari a quello della mafia, impone il proprio pizzo ovunque vi sia un’attività produttiva.
Cominciamo con la magistratura. Secondo la quale «gli impianti dell’Ilva producono emissioni nocive oltre i limiti, concretizzatesi in eccessi significativi di mortalità per tutte le cause»: tra il 1995 e il 2002 un eccesso di mortalità del 10-15%, specifica la rivista di Epidemiologia e Prevenzione. Ora, sono perfettamente consapevole che elementi di statistica non facciano parte del curriculum degli studi giuridici, ma farei sommessamente notare che, primo, ciò che il magistrato ha chiamato eccesso significativo appare piuttosto essere entro la normale variabilità statistica e, secondo, l’epidemiologia che ha osservato quell’eccesso, nulla dice (e nulla può dire essendo l’epidemiologia scienza dell’osservazione) sulle cause, men che meno che siano firmate Ilva. Ma come, direte, ma se le emissioni nocive sono state oltre i limiti? Ci arrivo fra poco. Per intanto, il pressappochismo della magistratura è confermato dalle mani che mette avanti lo stesso procuratore generale a Lecce, che ha candidamente dichiarato: «dobbiamo chiarire se il sequestro che abbiamo disposto ha una valenza scientifica, storica e legale». Senza tema di essere smentito me la sento di rispondere sulla valenza scientifica: zero.
Probabilmente la valenza legale c’è. La Regione Puglia, infatti, si vanta di avere fissato i limiti più restrittivi al mondo sulle emissioni di diossine, prevedendo, nel caso di superamento, proprio l’arresto degli impianti. Se c’è allora un vero colpevole per il provvedimento della magistratura è allora proprio la Regione Puglia che, imponendo limiti inutilmente restrittivi mette fuori-legge anche la più virtuosa delle aziende. Come risulta agli atti essere la Ilva: secondo i dati Arpa nel corso di tutto il 2011 ha emesso meno di 10 g di diossine. Ho scritto inutilmente restrittivi, ma avrei dovuto scrivere dannosamente restrittivi. Nell’immaginario collettivo, la diossina è uno dei tanti mali dei mali. In realtà, come per ogni altro agente, è la dose che ne stabilisce la dannosità. In particolare, molti agenti che sono dannosi oltre una certa dose, risultano benèfici al di sotto di altra dose, e la diossina non fa eccezione: gli esperimenti di laboratorio hanno dimostrato una diminuzione di tutti i tipi di cancro con l’aumento della dose di esposizione alla diossina sino ad una certa soglia, oltre la quale, aumentando ancora la dose, si osserva l’aumento dei tumori al fegato. Si chiama effetto ormetico, ed è esso a rendere dannosa la norma ultrarestrittiva di cui si vanta il presidente Vendola.
Il più incompetente di tutti si sta rivelando il governo sedicente dei tecnici. Il quale non sapendo cosa fare si è affrettato a stipulare un protocollo d’intesa per le bonifiche del territorio. Bonifiche da cosa non è dato sapere: anche ora senza tema di essere smentito, direi che non v’è nulla da bonificare. Quello delle bonifiche dei siti inquinati è una tanto pleonastica quanto lucrosa attività cui sono dediti quelli del racket ambientale (cioè gli ambientalisti). Per ora, il governo sedicente tecnico li ha gratificati con 336 milioni, ma il racket del pizzo non s’accontenta mai. Il presidente dei Verdi ha subito messo le mani avanti lamentando che 336 milioni sono una risorsa «irrisoria», e Vendola gli ha fatto subito eco chiarendo «sono solo l’apertura di un ciclo che avrà risorse molto più cospicue».
Allora, non è con la magistratura – che difetta di nozioni di statistica – che se la debbono avere a male i lavoratori, ma col proprio presidente di Regione, coi Verdi, col governo sedicente tecnico. Con tutti coloro che oggi si coprono solo di ridicolo plaudendo la magistratura e, allo stesso tempo, solidarizzando con gli operai. Con tutti coloro, insomma, che hanno predisposto quanto serve per creare l’allarme sociale per giustificare le inutili ma pur succulente «bonifiche» da non-si sa-cosa.
Franco Battaglia, Il Giornale 28 luglio 2012
DAL GIP ACCANIMENTO: DIMOSTRI IL LEGAME TRA AZIENDA E TUMORI
Non è facile scrivere del caso Ilva senza avere le carte ufficiali – a cominciare dai dati che hanno indotto il magistrato a prendere i noti provvedimenti. Tuttavia, da un lato, confidando nella mia familiarità con le questioni ambientali e, dall’altro, prendendo per buone le notizie che leggo dai comunicati dell’Ansa e della stampa che sta, senza-se-e-senza-ma, dalla parte della magistratura, ritengo di poter sostenere che, ancorché in buona fede, il magistrato abbia preso un grosso abbaglio, che l’Ilva non emette alcunché che sia causa di effetti sanitari a danno dei tarantini, e che nessuna opera di bonifica è necessaria in ordine all’attività dell’Ilva.
Leggo ad esempio sul Fatto Quotidiano che la Todisco nel motivare la propria ordinanza vi abbia scritto: «affinché non un altro bambino abbia ancora ad ammalarsi o morire a causa delle emissioni tossiche del siderurgico». Se Il Fatto scrive il vero, delle due l’una: il magistrato o è oppure non è in grado di fornire nome X e cognome Y di un bambino che è già deceduto a causa delle emissioni tossiche dell’Ilva. Ci sarebbe da chiedersi, nel primo caso, come mai essa non ha ancora incriminato nessuno per l’omicidio del bambino XY. Nel secondo (e, a mio parere, più probabile) caso, verrebbe a cadere la motivazione che lo stesso magistrato ha dato alle proprie azioni ed emergerebbe a carico dello stesso o una predisposizione al giacobinismo oppure una voglia di protagonismo o, comunque, una scadente capacità a interpretare i dati epidemiologici, che sono dati statistici.
Dai quali si evince – informa l’agenzia di stampa Ansa – che vi sarebbe un’incidenza di tumori aumentata del 15% (e fino al 30% per i tumori ai polmoni) nell’area del sito dell’Ilva. Questi aumenti non hanno alcun significato statistico che giustifichi l’azione del magistrato. Anzi, non hanno alcun significato statistico per neanche solo sospettare che sia l’Ilva la causa di quanto osservato. Tanto più che Taranto è uno dei maggiori porti per la distribuzione di sigarette di contrabbando contraffatte, cioè contenenti sostanze dannose. Che, se fumate dai tarantini… Il che significa che, anche quando l’aumentata incidenza fosse dovuta a una reale causa e non alla normale fluttuazione statistica, il magistrato, colpendo l’obiettivo sbagliato, distoglie l’attenzione da quello vero, causando così più danni di quelli presunti causati dall’Ilva. Per capirci: dovete sapere che per qualche curiosa ragione l’incidenza dei tumori occulti alla tiroide è in Finlandia del 1000% superiore che nel resto del mondo; che avrebbe fatto la Todisco, avrebbe vietato la navigazione dei fiordi o la panificazione del kalakukko?
Non è la prima volta che epidemiologi approssimativi e magistratura scadente in matematica fanno una pericolosa miscela esplosiva. Forse lo ricordate, ma 12 anni fa emerse il caso delle antenne di Radio Vaticana che la magistratura voleva sequestrare perché gli epidemiologi dicevano di aver osservato un aumento di leucemie infantili del 500% nei pressi delle antenne. Questo Giornale fu l’unico ad anticipare (come poi la commissione Veronesi confermò) il colossale abbaglio: Radio Vaticana non ha causato alcuna – neanche una – leucemia.
L’ultima cosa curiosa: l’Ansa informa che «i dati epidemiologici saranno disponibili non prima di metà Settembre». La domanda spontanea è: se ancora non vi sono dati disponibili, su quali dati ci si è basati per sollevare questo grottesco polverone?
Franco Battaglia, Il Giornale 14 agosto 2012
ILVA: LA BUFALA DEI DATI SULLE MALATTIE
Il rapporto epidemiologico moralmente responsabile dell’incarcerazione (ancorché ai domiciliari) di persone innocenti avrà un prezzo elevato, come immagino risulta dalla parcella, ma non ha alcun valore scientifico: è, esso, un esercizio accademico di statistica fondato su ipotesi errate e risultati inconcludenti. Come si evince da ciò che scrivono gli stessi Autori nel capitolo reso disponibile (quello conclusivo).
Il primo quesito posto dai committenti chiedeva gli inquinanti del caso e le patologie associate. Se la domanda avesse interessato non l’Ilva ma la vostra automobile, la risposta sarebbe stata la stessa. Correttamente gli Autori precisano che «stabilire se l’esposizione ad un agente sia causalmente associata ad effetti sanitari è semplice quando l’esposizione è condizione necessaria e sufficiente per la patologia». Ad esempio, contraete epatite B se e solo se esposti al virus. Se invece il nesso è casuale (e questo è il caso di cui si tratta qui) le cose si complicano dannatamente e, in particolare, non si può decidere né se gli esposti sviluppano la patologia né se chi l’ha sviluppata lo ha fatto perché esposto. Bisogna allora affidarsi alla statistica, scienza che più di una volta gli epidemiologi hanno dimostrato di non sapere usare.
Quelli del rapporto candidamente dichiarano di avere assunto che gli effetti degli inquinanti sono lineari-e-senza-soglia. Grave, gravissimo errore, che da solo basta a inficiare tutti i successivi risultati. Per capire l’ipotesi, supponiamo di avere accertato che ingerire in una volta la dose di caffeina contenuta in 200 caffè vi porti all’obitorio con probabilità 1/2. L’assunzione lineare-senza-soglia dice che con la caffeina di 1 caffè la probabilità di morire è di 1/400. Attenzione: la prima probabilità detta (1/2) è vera ed accertata, l’ultima (1/400) è una congettura. Ed è sicuramente falsa, ma pur tuttavia utile in ambito protezionistico. Altrettanto sicuramente, però, non può essere usata, come fanno gli epidemiologi inesperti, in ambito patologico. Essi così ragionano: se ipotizziamo che la probabilità di morire dopo aver bevuto un caffè è 1/400, allora se 400 individui ne hanno bevuto uno, uno di essi deve per ciò essere morto. E se a Taranto ieri mattina 400mila individui hanno preso un caffè, ieri mattina sono per ciò deceduti 1000 tarantini.
L’errore è nell’aver usato quel dato (probabilità 1/400) per valutazioni patologiche. Per capirci: se mi chiedete quanti caffè potete bere in una volta accettando una probabilità di morire di 1/400, io vi suggerisco il limite di 1 espresso; se accettate una probabilità di morire di 1/200 vi concedo un espresso doppio. Questa è protezione. Passare alla patologia non si può. Lo fecero gli epidemiologi che all’indomani della disgrazia di Chernobyl pronosticarono decine di migliaia di decessi per tumore alla tiroide: furono invece registrati, in 25 anni, 15 decessi per tumore alla tiroide, tanti quanti se ne registrano, in 25 anni, in qualunque altra parte del mondo ugualmente vasta. E lo fecero gli epidemiologi che stimarono un incremento del 500% dei casi di leucemia attorno alle antenne di Radio Vaticana: non vi fu alcun incremento. Gli Autori del rapporto-Ilva precisano che l’ipotesi lineare-senza-soglia è coerente con la normale prassi scientifica: sì, ripeto, ma solo in ambito protezionistico.
Nei quartieri incriminati gli Autori attribuiscono alle emissioni dell’Ilva 9 decessi l’anno per 100.000 abitanti, che sono, dicono, l’1.2% dei decessi. Cioè nei quartieri incriminati vi sono 750 decessi l’anno ogni 100.000 abitanti. A parte il fatto che in Italia muoiono ogni anno 1000 persone ogni 100.000 abitanti, attribuire precisa causa a 9 casi su 750 può farsi solo con un esercizio accademico di statistica necessariamente inficiato da ipotesi errate. Gli stessi Autori lo scrivono: «la popolazione studiata è piccola, il numero di eventi poco numeroso e ciò comporta forte incertezza nelle stime e ampi intervalli di confidenza». È vero che aggiungono: «I risultati sono coerenti con la letteratura», ma se il loro rapporto farà mai parte della letteratura, anch’esso sarà invocato da un altro rapporto stravagante a sostegno delle proprie stravaganze.
Taranto è uno dei principali porti di distribuzione di sigarette di contrabbando, che la polizia ha trovato contraffatte, contenenti aggiuntive sostanze tossiche. Nei quartieri incriminati hanno precarie condizioni socioeconomiche, ed è in questi quartieri che i fumatori acquistano sigarette di contrabbando, che costano meno. Hanno gli Autori considerato questo importante fattore? Sulle sigarette sono inequivocabili: «non abbiamo avuto la possibilità di controllare per i fattori di rischio individuali il fumo di sigarette». Di sigarette contraffatte, poi, sembra ne disconoscano l’esistenza.
Scrivono, ancora: «Molti lavoratori prima che all’Ilva avevano prestato servizio presso l’Arsenale, al quale abbiamo chiesto dati che non sono pervenuti. Non è stato pertanto preso in considerazione questo fattore confondente, che però riteniamo estremamente improbabile». Se lo ritenevano estremamente improbabile, perché hanno chiesto i dati? A leggere il rapporto sembra che la loro irrilevanza sia emersa solo dopo che ci si è dovuti rassegnare alla loro indisponibilità.
Infine, ma non ultimo, ancora gli stessi Autori: «È chiaro che per quanto riguarda i tumori l’esposizione rilevante è occorsa negli anni 60-80». Già, ma i dati di inquinamento sono recenti, e in quegli anni l’inquinamento dal parco automobilistico, ad esempio, faceva impallidire quello di qualunque azienda.
In tutto ciò che ho letto una cosa è chiara: gli Autori si raccomandano che l’indagine epidemiologica prosegua. Ma è, questa, la raccomandazione finale di ogni indagine epidemiologica. I magistrati e i responsabili politici dovrebbero tenere bene in mente che l’epidemiologia, ancorché interessante strumento d’indagine, non è una scienza.
Franco Battaglia, Il Giornale 17 agosto 2012