La vicenda giudiziaria dell’ex commissario dell’Ilva, Enrico Laghi, ha dell’incredibile. Questo signore è un professore universitario, salito in cattedra da giovanissimo, e grande esperto di bilanci. Anzi uno dei più esperti in Italia. Poco più che trentenne se lo prese Marco Tronchetti nel consiglio sindacale della Pirelli. Ha fatto parte dei consigli di aziende quotate e non, di dimensioni rilevanti. Ha fatto il commissario per Alitalia e poi, mal gliene incolse, anche per Ilva. È stato consulente delle Procure di mezza Italia, si mise a rifare i calcoli sui derivati del comune di Milano.
Il 27 settembre di quest’anno viene arrestato e messo ai domiciliari su richiesta della Procura di Potenza e ordinanza del Gip, che però nega la custodia in carcere. Se no Laghi avrebbe soggiornato nelle patrie galere. In una complicata storia che vede coinvolto l’ex procuratore di Taranto, poi indagato Carlo Maria Capristo, e la banda di Amara, quello dei veleni sull’Eni per intendersi, il nostro professore pluridecorato avrebbe utilizzato il suo ruolo di commissario straordinario dell’Ilva per fare favori ad amici della banda e per questa via ottenere soluzioni per la pratica Ilva, sotto controllo appunto da parte della magistratura tarantina. Un castello nell’aria ha stabilito due giorni fa il tribunale del Riesame di Potenza. Che non solo ha disposto la cancellazione delle misure cautelari, altro che carcere, ma ha anche chiesto di derubricare il possibile reato: quella che per i pm era corruzione in atti giudiziari per i giudici del Riesame potrebbe essere al massimo un’induzione indebita a dare o promettere utilità. Tutta da dimostrare, ovviamente.
Ma le cose incredibili di questa vicenda sono due.
1. La prima riguarda, come spesso avviene, il buon senso. E per questo abbiamo solo sommariamente elencato i titoli di Laghi. Questo signore secondo la bizzarra teoria dell’accusa avrebbe avuto necessità di «farsi bello» con i politici sulla questione Ilva e per questo avrebbe avuto comportamenti che configurano la corruzione in atti giudiziari. Siamo arrivati al paradosso. Se i commissari non fanno, sono degli inetti. Se fanno, cercando di salvare il salvabile, rischiano di venire arrestati. E questo teorema vale anche nei confronti di chi, sia pur giovane, ha dimostrato in tutti gli ambiti, da quelli pubblici a quelli privati, di essere un fenomeno.