Immuni, la suppostapp pandemica

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Se tanti italiani fanno il gesto dell’ombrello, altri spalancano le braccia, e qualcos’altro, con slancio da letteratura tardoromantica: la app Immuni, informa Agi, è la più scaricata nelle ultime 24 ore: né da notizia, contorcendosi come una baccante, il ministro dell’Innovazione Paola Pisano la quale non si accorge nella sua esultanza ultrà di scadere nel più famigerato sovranismo: “Siamo il primo grande paese europeo a usare questa tecnologia, tra i primi al mondo” e via esaltandosi in un tripudio di scie chimiche tricolori. Ma non si diceva che il popolo non si fidava, che la sua saggezza avrebbe sviluppato gli anticorpi contro l’intrusione della suppostapp, che il tentativo di ridurci a robot cybermonitorati sarebbe fallito?

Eh, ma il popolo è mutato peggio del virus e neppure se ne accorge: è diventato una massa di zelanti che girano en plen air con la mascherina e se gli dici togliti quel pezzo di tappezzeria, che in riva al mare o in una malga alpina serve a niente, anche nel traffico di città serve a niente, lo capisci che sei ridicolo, che fai il gioco di questi pupari del terrore, quello ti risponde: sì lo so ma non sono ancora pronto, mò ci penso. Come nel film di Nanni Moretti: “Dipende da me. E se dipende da me, sono sicuro che non ce la farò”.

Dipende da noi; e “noi” abbiamo scaricato la suppostapp in cinquecentomila nelle prime 24 ore, roba da stracciare perfino l’ambigua, perché cinese, Tiktok. Ma che gran voglia di consegnarci mani piedi e intestini al Grande Fratello (ogni riferimento a portavoce non è affatto casuale), di fargli sapere come stiamo e tutto il resto, di sbandierare quanto dovremmo tenere di più caro vale a dire le nostre condizioni sanitarie che sono i dati più sensibili, più privati, più inviolabili che la Costituzione preveda. Ma ultimamente la Costituzione non va più tanto di moda e allora vai: tutti pronti alla sperimentazione (gli sperimentati siamo noi) in partenza il 5 su 4 regioni: Puglia, Liguria, Marche, Abruzzo. Pronti, frementi come piloti alla griglia di partenza: per orientarci meglio, per dirigerci, consigliarci, obbligarci meglio.

La suppostapp “contro il virus” è un virus a sua volta, più penetra nel maggior numero di dispositivi, più diventa pandemica e più funziona e per funzionare bisogna tenere sempre attivo il bluetooth, “affinché il sistema possa rilevare i contatti di ciascuno con altri utenti”, cioè in soldoni rendersi più vulnerabili, più tracciabili, più controllabili, laddove “Nel momento stesso in cui si procede all’operazione, c’è una prima parte che indica i comportamenti da tenere contro il Covid-19, mentre una seconda sezione spiega come evitare ogni possibile rischio di intrusioni”. Messa così in souplesse, pare niente, invece è la definitiva sostituzione della coscienza personale con un dispositivo. Cioè il Leviatano neanche si scomoda più, magari con un Dpcm: manda una suppostapp attiva senza sosta che impone scelte, comportamenti, distanze sociali, amplessi e perché no orientamenti morali, politici, religiosi, etici. Si vedrà, lo scopriremo solo non vivendo, perché questa non è più vita: evidentemente, a molti connazionali piace così.

Però, però. Forse non è proprio tutto stagno quello che luccica. Perché, a vederla all’italiana, si potrebbe anche sospettare che gl’italiani prendano la suppostapp Immuni come tutte le altre, vale a dire un gioco; un programmino per divertirsi un po’ senza troppe menate, prima di stancarsi e passare a un altro giocattolo: mamma guarda come mi diverto, vai così, è una figata, vedi cosa fa. Appunto, che fa? “Mah, non ho ben capito ma pare che nei paraggi ci sia un probabile positivo”. Dopodiché scatta la ridda dei sospetti, specie nei posti piccoli dove ci si conosce tutti, signora mia. E, se questo è vero, allora la suppostapp Immuni si disvela come una specie di “mi faccio i cazzi altrui” 2.0 nella speranza di sgamare l’impestato o almeno di marchiarlo come tale. Puro gossip sanitario, gioco maligno, tracciarsi per allegria. Da queste parti, tutto si fa per allegria, per cazzeggio, per esempio votare i grillini, più le cose precipitano e più si esorcizza in allegria. E poi si obbedisce: al neverending lockdown, alle autocertificazioni demenziali, alle mascherine mentre stai sul cesso, alla suppostapp: parafrasando Tito Livio, fortunato è il paese dove si obbedisce volentieri.

Ma non è una cosa seria; continua il lancio Agi: “Immuni […] è sicura e garantisce totalmente la privacy di chi la usa”. Questo almeno (sic!) è il risultato di un’analisi dell’app fatta da Mobisec, azienda trevigiana che dal 2017 certifica la cyber security, commissionata dalla società che ha sviluppato l’app, la milanese Bending Spoons. L’app è stata sottoposta a diverse fasi di analisi della sicurezza, secondo gli standard internazionali di affidabilità (…) I test, fa sapere l’azienda, hanno consentito di isolare le possibili vulnerabilità dell’app e i rischi. Come ad esempio la mancanza di protezione durante la trasmissione dati, l’utilizzo, il processo e la conservazione delle informazioni: un percorso necessario a garantire “un risultato ottimale circa la totale sicurezza dell’app (…) I test hanno confermato la sostanziale (sic) sicurezza dell’app, che è stata concepita fino dalle fasi di progettazione per tutelare al massimo la privacy degli utenti e dei loro dati personali, sensibili e ancora di più sanitari, dati particolarmente riservati e delicati”.

Al di là dello slang autopubblicitario, per il quale come sempre si capisce niente, c’è da fidarsi: si attende a giorni, se non ad ore, il primo cyberattacco che manderà a zoccole la tanto sbandierata sicurezza, rivelando un gruviera di falle. La sicurezza, dice la suppostapp, dipende solo da noi. E se dipende da loro, siamo sicuri che non ce la faranno.

Max Del Papa, 3 giugno 2020

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