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Imprenditori, l’inspiegabile corsa al selfie con i politici

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Ieri Alessandro Sallusti giustamente definiva vergognose le passerelle dei politici alle due grandi fiere del made in Italy: Vinitaly e Salone del mobile. Questo governo sta sprecando quattrini per fini assistenziali, più che per ragioni produttive. Giusto. Ma non mi sembra di avere assistito a scene da gilet gialli nei padiglioni di Verona. Ho visto piuttosto centinaia di richieste di selfie. L’unica straordinaria maschera di questa commedia all’italiana è quella magnifica addetta alla sicurezza che ha pregato in inglese, non riconoscendolo, il premier Conte di non avvicinarsi a una fragile lampada.

La nostra classe dirigente imprenditoriale non è molto meglio di quella politica. Intendo quella organizzata in forme associative. Secondo voi cosa fa un presidente della Confindustria, locale o nazionale, dopo che ha finito il suo mandato? Torna in azienda? Ma va là. Tutti alla ricerca (con l’eccezione di Antonio D’Amato) di uno spazio pubblico graziosamente concesso proprio da quei politici che a parole criticano. Vi sembra normale che l’ex presidente Marcegaglia oggi presieda l’Eni? Società le cui nomine non vengono stabilite da babbo Natale. Il duro presidente dell’Assolombarda, fustigatore a parole dei politici, proprietario di una microazienda, secondo voi a fine mandato cosa farà?

Oggi la politica governa metà delle risorse di questo Paese, con i suoi regolamenti può uccidere il nostro sistema produttivo, e i rappresentanti delle nostre imprese, tranne qualche lodevole caso, sono fragili. Quello che vi dicono in privato, non ammetteranno mai in pubblico. Gli uomini pubblici hanno occupato il campo di gioco e, come moderni sovrani, sono più temuti che rispettati. Il tema, dunque, non è solo quello della consueta passerella fatta dai nostri politici, il problema è che sempre esistita. Un po’ per pavidità e un po’ per interesse.

Le associazioni imprenditoriali fanno dei convegni magnifici, i loro leader rilasciano interviste a schiena dritta, ma alla fine devono campare. Un partito delle imprese non esiste, e se esistesse sarebbe minoritario. Se quota 100, le assurde e complicate regole del decreto dignità, le equivalenze farmaceutiche, il reddito di cittadinanza, il blocco delle opere, sono così devastanti per l’impresa, i suoi alfieri potrebbero almeno evitare il selfie. Nuovo straordinario paradigma della sudditanza al potere.

Ps. È sempre sbagliato generalizzare, fior di imprenditori come Bonometti o Stirpe, Zoppas, Riello e altri, hanno ruoli confindustriali e coraggio da vendere, ma sono una minoranza.

Nicola Porro, Il Giornale 10 aprile 2019