Forse non gli faccio un favore a rievocarlo, ma la prima volta che conobbi Fabrizio Rondolino mi parlò di una serie americana appena sbarcata in Italia, “geniale”, che dovevo assolutamente vedere. La serie era House of Cards, e sì, Rondolino aveva ragione, era la trasposizione al tempo di Netflix del “Principe” di Machiavelli.
Comunista
Perché questo aneddoto minimale? Per dire che l’uomo decritta la politica e il suo inscindibile fratellastro, il principio di realtà (irrealistiche esagerazioni letterarie comprese) meglio di quasi tutti. Non solo: che, a differenza di quasi tutti, non si fa premura di mascherare questa consapevolezza, come abitudine nella buona società italica, che al realismo di ascendenza machiavelliana preferisce sempre l’ipocrisia di ascendenza cattocomunista. Rondolino è stato comunista, ha un curriculum giovanile comunistissimo, ma di un comunismo sospeso tra estetica fraintesa (“Mi piaceva sentirmi militare in un partito la cui direzione nazionale aveva, al piano terra, una libreria. Del resto, ero un borghese”) e pragmatica rivendicata (“Il Pci mi ha insegnato a fare i compromessi, non a fare la rivoluzione”), superato in fretta da altri, contradditori, fecondissimi itinerari.
Stratega
Lothar con Claudio Velardi di Massimo D’Alema quando costui scalò Palazzo Chigi, dove “lothar” sta per qualcosa di molto più di addetto alla comunicazione e perfino di stratega, indica un lavoro quotidiano da fucina pop, sempre in bilico sull’ossimoro, vendere Baffino, l’ultimo togliattiano sopravvissuto, come un liberal, un “riformista”, un blairiano. Quindi, il pop che scalza definitivamente l’ideologia, la consulenza autoriale per la prima stagione del Grande Fratello, che sarà un caso ma è l’unica che ricordiamo ancora oggi, l’unica in cui la sociologia weberiana intersecò il trash senza complessi, puro rondolinese. Da lì, la sparigliata come culto e a volte anche come maniera, consigliere politico di Daniela Santanchè per le primarie del PdL che non si tennero mai e infine sì, costruttore di un renzismo più rigoroso dello stesso Renzi, quasi di un’ortodossia rottamatrice, ma un’ortodossia liquida, postmoderna, un’ortodossia eterodossa.
Post-politica
“Siamo nella post-politica”, disse anni fa in un’intervista a Luca Telese, e in questo disincanto candido, ennesimo paradosso, sta il segreto di Rondolino. Un corsaro che affronta le intemperie della politica e della comunicazione (sì, sono la stessa cosa, e lui ce lo ha insegnato forse meglio di tutti) con la benda in vista e la scimitarra sguainata, senza infingimenti, senza ritualità codine, senza tutto l’armamentario di chi oggi gli spara addosso, politici che blaterando di un’impossibile etica della comunicazione nascondono i propri regolamenti di conti immorali, o direttori di giornali che ostentando una disonesta oggettività cronachistica (non esistono inchieste oggettive, già solo perché c’è sempre un inchiestista) inseguono i propri tic, la retorica contro la Bestiolina di Renzi per rispondere alla retorica contro la Bestia di Salvini, puttanate, per usare il termine tecnico.
La mail a Renzi
Sì, Rondolino, uomo di comunicazione politica, e tra i migliori, ha osato perfino mandare una mail a Matteo Renzi intitolata “Appunti per una propaganda antigrillina” (che è come dire che un chirurgo ha osato impugnare il bisturi). Sì, nella mail addirittura non suggerisce di persuadere l’avversario politico con massiccio utilizzo di mazzi floreali, ma ipotizza scavi nei punti deboli, raccolta di informazioni compromettenti, creazione di portali di news unidirezionali, e sì, anche dell’esplicita “character assassination” (attività in cui del resto un movimento nato sull’illuminata piattaforma valoriale del Vaffa rimane maestro indiscusso), come se davvero la politica fosse quella di Machiavelli e di Rino Formica (“sangue e merda”, definizione insuperata), come se davvero l’uomo fosse il lupo di Hobbes o almeno il legno storto di Kant, e non l’appendice delle veline del Fatto Quotidiano, o di certe sue imitazioni malriuscite di destra.