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In Occidente ormai è una moda insultare Gesù

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Come siamo passati dalla Cappella Sistina alle opere “provocatorie” come il Gesù pedofilo in erezione davanti a un bambino? Come è possibile soprattutto che tale “opera” sia stata scelta come manifesto di un museo pubblico, il romano Macro? Prendiamo nota di alcuni fatti. Il cartellone in sé sembra disegnato da un bambino di cinque anni e non è un complimento. La storia dell’arte è piena di opere blasfeme o quasi. Però sono generalmente eccelse, non disegni infantili. Avete forse presente le Pitture nere di Goya: caproni, streghe, sabba e così via. Ma chi potrebbe negarne la sconvolgente bellezza? Ancora un paio di osservazioni: all’artista va garantita l’assoluta libertà d’espressione, blasfemia inclusa.

Ma perché un museo pubblico sceglie l’immagine offensiva per il manifesto? Questo è bizzarro. Certo ora tutti parlano della mostra ma il Macro ha fatto una pessima figura, perdendo una montagna di autorevolezza. Un danno per tutti. Infine, se davvero si voleva provocare, sarebbe stato sufficiente trattare allo stesso modo i simboli e i profeti di altre religioni, l’Islam a esempio. Ma questo non si fa, non è educato, ed è anche pericoloso.

Nell’Europa secolarizzata invece farsi beffe del cristianesimo è una moda culturale in mezzo alle altre. Qualcuno si offende? È un retrogrado. Ma è proprio questo tipo di “progresso”, che annichilisce i simboli alla base della comunità che l’Europa pagherà a caro prezzo. La storia insegna che quasi nessuna civiltà è sopravvissuta alla fine della propria religione. Il cristianesimo è legato alla conquista di diritti e libertà tipicamente occidentali. Si può anche disprezzarli, per carità. Basta sapere che il prezzo lo pagheranno i nostri nipoti. Perché dopo le libertà garantite (anche) dal cristianesimo verrà qualcosa di molto peggio.

Il manifesto è stato rimosso. Resta da capire un fatto: com’è possibile che un museo pubblico abbia pubblicato un simile penoso obbrobrio. A quanto riporta Paolo Conti, sul Corriere, il foglio mancava nella documentazione originale, è stato inserito dopo (da chi? Boh), non c’è stato tempo di controllare tutto. Insomma nella migliore tradizione italiana non c’è responsabile. Per carità non invochiamo sanzioni. Magari è stato davvero un errore. Un errore che spiega cosa siano alcuni musei pubblici.

Alessandro Gnocchi, 18 dicembre 2019

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