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Inaugurazione a Milano, gli errori di Starbucks

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L’inaugurazione di una caffetteria americana a Milano, un paio di sere fa, ha combinato un bel casino. Starbucks, quella solidale anche con i chicchi di caffè, macinati tenendo conto dell’etica nella loro spremuta, e nel consumo di Co2, terra, sudore e deodoranti di chi li raccoglie, ebbene la grande catena dal caffè venduto al doppio di una tazzulella made in Italy, quella catena non ne ha azzeccata una. Eccezion fatta per la favolosa ristrutturazione che è riuscita a fare del vecchio palazzo della Posta.

Per il resto è partita con il piede sbagliato.

Milano è la città più cool d’Italia, perché ha abbandonato i suoi gloriosi anni ’80, ma ha saputo reinventarsi in un modo nuovo. È la Milano dei grattacieli esclusivi, ma con i parchi aperti a tutti. È la Milano del design, ma con le porte aperte da Gilda Bojardi per il Fuorisalone. Insomma miscela esclusività, ricchezza, e apertura. Tutti ingredienti che mancavano nella grande festa organizzata in centro a Milano, a piazza Cordusio, per l’inaugurazione del bar più caro di Milano. Sarà stata un grande successo per pochi, ma sicuramente un fastidio per molti.

Qui non si contesta, per carità, l’evento e il casino che ne deriva. Milano è bella e viva per questo. Ma la Milano del mobile, la Milano delle notti bianche, la Milano di Citylife e dei grattacieli di Porta nuova o anche dell’ultimo bellissimo negozio della Apple, è, come abbiamo detto aperta. Non inclusiva, che è una parolaccia. Giovedì scorso non solo le strade di accesso alla piazza (e non stiamo parlando di una piazzetta) erano sbarrate (cosa buona e giusta, nulla da dire), ma anche il passaggio dei pedoni. Eddai, i pedoni che non possono entrare in piazza perché apre un negozio? Too much. Qua mica siamo democratici. Tutto ha un prezzo. Se il sindaco si è fatto risarcire i numerosi vigili al lavoro e si è fatto strapagare frusciante l’utilizzo della piazza (un po’ come i baristi si pagano il proprio dehors), in questo caso comprendiamo. Soldi privati che entrano nelle casse pubbliche, per migliorare la nostra vita. Ci sta.

Karla Otto, infine, è l’agenzia di pr che ha organizzato gli inviti Vip. E qui è successo un casino. Milano è fatta di banchieri, professionisti, imprenditori. Hanno invitato troppa fighizia modaiola, quella che non vede l’ora di girare a Montenapo, con la tazza in mano. Un po’ di bankers, di quelli che contano, si è seccata.

Non ci sarebbero andati, questo è certo, ma almeno avrebbero dovuto essere invitati.

Insomma mentre a Roma il governo studia la più ridicola delle norme sul commercio, e cioè limitare le aperture domenicali per i povericristi, a Milano la multinazionale del frappuccino non capisce lo spirito di una città che ha scelto proprio per il suo successo, che è opposto al modello Starbucks raccontato dal party di fine estate.

Nicola Porro, Il Giornale 8 settembre 2018

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