Come è sempre successo nel difficile rapporto tra finanza ed economia, alla fine la realtà ha fatto piazza pulita di ogni residua illusione. Una realtà che si chiama inflazione a due cifre. Ora, noi possiamo disquisire allo sfinimento sulle cause principali dell’attuale inflazione, l’imposta più iniqua che esista, visto che essa colpisce in modo durissimo i ceti più poveri della popolazione, e che rappresenta un rischio molto serio per la tenuta delle nostre economie avanzate.
Ciò che possiamo comunque sostenere con una certa sicurezza è che in un mondo che ancora non è riuscito – e credo che mai vi riuscirà – a superare il vincolo economico della scarsità dei beni in senso lato, le scorciatoie monetarie non possono che provocare danni peggiori rispetto ai problemi che si ritiene di voler affrontare.
In altre parole, laddove, per tutta una serie di motivazioni più o meno nobili, si proceda per un lungo periodo ad emettere nuova moneta come se non ci fosse un domani, tenendo nel contempo artificialmente bassi i tassi d’interesse e, di conseguenza, incoraggiando i governi di turno a spendere e spandere senza curarsi dei livelli esorbitanti dell’indebitamento, alla fine l’evidente squilibrio tra queste due fondamentali grandezze, i beni scarsi e la crescente massa monetaria per scambiarli, si manifesta con la rapidità e la profondità di un evento tellurico.
Inoltre, elemento importante da sottolineare, l’eccesso di moneta non è servito per stimolare la crescita economica, secondo una mai dimostrata teoria vetero-keynesiana, bensì esso è stata utilizzato in gran parte per coprire l’enorme falla che si è aperta nella bolletta energetica, la quale si è poi riverberata in modo generalizzato sui prezzi, creando quel micidiale combinato disposto che definiamo “stagflazione”; ovvero inflazione senza crescita economica. In pratica la strada lastricata di buone intenzioni verso l’inferno del sottosviluppo.
Pertanto, in un tale scenario, il rialzo dei tassi d’interesse praticati dalle banche centrali era inevitabile. E l’unica cosa sui cui discutere, semmai, riguardava il ritmo e l’intensità con il quale codesto aumento doveva essere implementato. Se poi queste successioni di eventi, innescata – ribadisco fino alla nausea – dalla scelta politica di affrontare la paralisi economica determinata dalle insensate restrizioni sanitarie usando indiscriminatamente la leva monetaria, si stia abbattendo sul sistema finanziario nel suo complesso, mettendo a repentaglio la stabilità di molte banche ritenute solidissime, non ci si deve stupire più di tanto.
Essendo, infatti, queste ultime piene di titoli di Stato, italiani ed esteri, che si sono via via deprezzati man mano che hanno ripreso a salire i tassi d’interesse (dal momento che i titoli acquistati nel periodo della moneta facile hanno un rendimento ridicolo rispetto alle ultime emissioni, e dunque sono sempre meno appetibili sul mercato secondario), hanno cominciato ad accumulare grandi perdite patrimoniali. Perdite che, nel caso di una improvvisa crisi di fiducia dei loro clienti (vedi l’esempio drammatico della Silicon Valley Bank, mandata in bancarotta nel giro di 24 ore), costringerebbero a vendere a prezzi stracciati ingenti quantità dei medesimi titoli di Stato, innescando una sorta di effetto domino dagli esiti piuttosto imprevedibili.
D’altro canto, se ad ogni crisi economica, in questo caso molto auto inflitta, la sinistra suggestione della repubblica di Weimar ritorna a far capolino nei palazzi del potere politico e finanziario, non possiamo poi prendercela col destino cinico e baro se il catastrofico risultato delle scelte conseguenti è lo stesso di sempre. Non è l’applicazione del principio che è sbagliata, così come alcuni nostalgici del comunismo si ostinano ancora a credere ancora oggi, ma è proprio l’idea di aumentare la ricchezza creando moneta dal nulla che fa acqua da tutte le parti.
Claudio Romiti, 16 marzo 2023