
Le recenti polemiche seguite alla morte del giovane Ramy Elgaml mi confermano che, sebbene faccia l’avvocato da decenni, se oggi rimettessi la divisa da carabiniere, non saprei come comportarmi di fronte a un soggetto in fuga. Non perché mancherebbe la volontà di agire, ma perché il nostro ordinamento non fornisce norme chiare e procedure operative precise sugli inseguimenti e sull’uso della forza.
Le forze dell’ordine italiane, infatti, non possono contare su leggi o circolari che regolino adeguatamente le modalità e i limiti di un inseguimento. Il loro operato è affidato esclusivamente all’articolo 53 c.p., norma eccessivamente generica, e alle sentenze dei tribunali, che nel tempo hanno cercato di colmare i vuoti lasciati dal legislatore.
A complicare ulteriormente la situazione, vi è l’orientamento giuridico che interpreta l’art. 53 c.p. in chiave “costituzionalmente orientata”, introducendo un vincolo di proporzionalità che il legislatore non ha previsto. Ne discende che, secondo la giurisprudenza, la reazione delle forze dell’ordine deve essere proporzionata alla minaccia posta in essere dal fuggitivo.
Ma questo principio è congruo in uno Stato che abbia a cuore la sicurezza pubblica? Soprattutto, è sufficientemente chiaro nella realtà concreta?
L’imposizione della proporzionalità di fatto toglie alle forze dell’ordine la possibilità di agire tempestivamente per fermare il fuggitivo, imponendo loro di aspettare che la situazione degeneri fino al punto in cui il pericolo per terzi diventa conclamato. Dopo di che, poi, è tutt’altro che semplice definire i limiti di azione. È un cortocircuito giuridico: lo Stato obbliga la polizia a intervenire, ma le impone di farlo solo quando il danno è ormai fatto.
INSEGUIMENTO E TENTATIVI DI FERMO
Un pubblico ufficiale ha il dovere di inseguire e fermare il fuggitivo. Non si tratta di una facoltà rinunciabile, come ha ribadito la Cassazione: “il pubblico ufficiale ha l’obbligo giuridico di intervenire per fermare il fuggitivo e, in caso di omissione, può rispondere penalmente per omissione di atti d’ufficio” (sentenza n. 37312 del 2019). Tuttavia, non esistono direttive operative precise su come un inseguimento debba essere condotto. Quando è lecito continuare e quando bisogna desistere? Quali manovre sono consentite? Lo speronamento è ammesso? Nessuna norma lo dice. L’abbandono dell’inseguimento può essere ammesso solo se il rischio diventa sproporzionato, ma chi lo valuta? Non il poliziotto in azione, ma il giudice mesi dopo.
Questi, però, sono quesiti che le nostre forze dell’ordine devono risolvere in frazioni di secondo mentre la loro stessa incolumità è in pericolo, sapendo di non potersi voltare dall’altra parte.
USO DI TECNICHE DI SBARRAMENTO O SPERONAMENTO
Se il fuggitivo è a bordo di un veicolo, gli agenti devono in definitiva improvvisare, perché non esistono protocolli ufficiali che dicano con chiarezza se, quando e come sia lecito speronare un’auto in fuga o predisporre sbarramenti stradali.
Secondo il Tribunale di Firenze, “la guida spericolata e pericolosa per gli agenti e i terzi integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale e giustifica l’adozione di misure di contenimento anche invasive, purché proporzionate” (sentenza n. 1755/2018).
Ma la proporzionalità imposta dalla prevalente interpretazione rende le forze dell’ordine incerte sul da farsi: per esempio, è legittimo speronare un veicolo che sta sfrecciando nel traffico a 120 km/h oppure bisogna aspettare che travolga qualcuno?
Chi scappa da un controllo di polizia non lo fa per provare emozioni: fugge perché sta nascondendo un reato già commesso o perché vuole commetterne un altro. Questo è già un valido motivo per allarmarsi. Non possiamo aspettare che faccia una strage di passanti prima di poterlo fermare con ogni strumento disponibile.
USO DELLE ARMI DA FUOCO: INTIMIDATORIO, DISSUASIVO E LETALE
L’uso legittimo delle armi in servizio è regolato solo dall’art. 53 c.p., che non specifica quando, come e in che misura le armi e gli altri strumenti di coazione fisica possano essere usati durante un inseguimento.
La Cassazione ha chiarito che “il concetto di resistenza non si limita alla violenza fisica diretta, ma include anche la fuga che crea un grave pericolo per la sicurezza pubblica” (sentenza n. 9961/2000).
Tuttavia, l’interpretazione della magistratura ha imposto una gradazione che gli agenti devono seguire, distinguendo tra tre livelli di utilizzo delle armi:
Uso intimidatorio – spari in aria o in zone sicure per indurre alla resa il fuggitivo.
Uso dissuasivo – colpi mirati a parti non vitali del veicolo, come le gomme.
Uso letale – giustificato solo se la fuga costituisce un rischio immediato per la vita di terzi.
La Cassazione ha pertanto affermato che, “quando la fuga stessa rappresenta una minaccia concreta e attuale per la sicurezza pubblica, il pubblico ufficiale è autorizzato a fare uso delle armi, senza che ciò debba essere vincolato al principio della proporzionalità, poiché è il fuggitivo stesso a creare il pericolo” (Sentenza 9961/2000).
Ma l’interpretazione ha comunque ristretto il margine operativo degli agenti, imponendo che le armi possano essere usate solo quando il pericolo è già in atto, impedendo di fatto un’azione preventiva per fermare un criminale in fuga.
Allora, che senso ha limitare l’intervento della polizia solo ai casi in cui il danno è già avvenuto o è prossimo? Perché non fermare subito il fuggitivo, prima che sia troppo tardi?
FERMARE SUBITO IL FUGGITIVO, SENZA ASPETTARE IL PERICOLO
Inseguire e fermare un fuggitivo è un dovere per le forze dell’ordine. Ma se chi scappa sa che la polizia non potrà usare tutti i mezzi per fermarlo, avrà sempre il vantaggio.
La giurisprudenza, imponendo una proporzionalità che il codice penale non menziona, ha depotenziato lo strumento di sicurezza pubblica più efficace: la possibilità di fermare immediatamente e con qualsiasi mezzo anche letale un fuggitivo, senza aspettare che faccia danni.
Una riforma è indispensabile: serve un quadro normativo chiaro che espressamente stabilisca che chi fugge può essere fermato subito, con ogni mezzo e senza dover aspettare che la vita di qualcuno sia in pericolo.
Perché se il fuggitivo è una minaccia in potenza, allora va fermato subito e con tutti i mezzi disponibili, anche letali.
Aspettare significa concedergli la libertà di scegliere chi sarà la sua prossima vittima che non di rado sono le stesse forze dell’ordine obbligate per legge ad inseguirlo.
Giorgio Carta, 14 marzo 2025
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