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Inter campione. Cari detrattori di Inzaghi, “spiaze”

I nerazzurri vincono lo scudetto. Simone in tre anni ha portato 2 Coppe Italia, 3 Supercoppe, seconda stella e finale di Champions. Chi lo criticava ha preso un bidone

Simone Inzaghi Inter campione d'Italia © Milovan Zrnic tramite Canva.com

Non era un nome altisonante, soprattutto in confronto ad Antonio Conte. Certo veniva da una convincente esperienza nella Lazio, ma non aveva mai allenato una grande squadra. Insomma: visto da fuori, l’ingaggio di Simone Inzaghi per l’Inter sembrava una retromarcia rispetto al tecnico dello scudetto ritrovato dieci anni dopo Mourinho. E infatti sin da subito non sono mancate le critiche, anche ingiustificate, spesso esagerate, contro lo stile di gioco di un tecnico che ha i suoi limiti (soprattutto nei cambi in corsa) ma che sa portare dalla sua parte i numeri.

Guardiamoli, questi numeri. Dal 2021, anno del trasloco da Roma a Milano, Simone ha portato a casa sei trofei e una finale di Champions. In media: due trofei all’anno e quello in corso non è ancora finito. Per un palmares così (due Coppa Italia, tre Supercoppa italiana e uno scudetto, quello odierno, peraltro vinto stracciando il Milan nel derby) a Roma sarebbe stato santificato con tanto di statua a Formello. A San Siro invece Inzaghi vince ma fino ad oggi non aveva convinto tutti, soprattutto chi ha sempre dimenticato che a parte la parentesi contiana per trovare un trofeo alla Pinetina bisogna risalire a Rafa Benitez e Leonardo, anno domini 2010-2011. Praticamente un’era fa. In mezzo tanti allenatori, alcuni più blasonati, altri debitamente pompati, ma ugualmente incapaci di portare a casa neppure la Coppa del Nonno. Breve elenco non esaustivo: Gasperini, Ranieri, Stramaccioni, Mazzarri, Mancini, Spalletti, Pioli.

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Va bene. L’attuale squadra è forse più completa che in passato. E forse Inzaghino soffre di lamentelite acuta. Esagera nel piangersi addosso, soprattutto in tv. E due anni fa ha buttato nel water uno scudetto praticamente vinto, regalandolo ai diavoli nerazzurri. Chissà: magari Simone paga ancora la sindrome del sottovalutato, lui che da calciatore è sempre rimasto un po’ “il fratello di Pippo Inzaghi”. L’ombra eterna. Ma il destino può cambiare, se porti risultati. Non è da tutti trovarsi catapultato dalla Primavera sulla panchina della Lazio in assenza di alternative, trasformare un’occasione irripetibile in oro colato e vincere trofei a raffica sia a Roma che a Milano. Il fratello, per dire, ha avuto panchine da allenatore emergente ben più importanti e non ha saputo sfruttarle. Il fato ha voluto invertire il loro ruolo, forse anche per confermare quella legge non scritta secondo cui i grandi giocatori non sempre si rivelano ottimi allenatori. E viceversa.

Dopo la seconda stella, fa sorridere dunque andare a rileggersi le ingenerose critiche del passato. Qualcuno lo accusava di avere “limiti di malleabilità nella testa e nel cuore”, qualsiasi cosa voglia dire. Altri di una comunicazione verso l’esterno “non sempre chiara e precisa”, cioè incapace di prendersi le proprie colpe. Ad aprile del 2023, dunque giusto un anno fa, si parlava platealmente di un addio anticipato. “Vedere Inzaghi all’Inter anche l’anno prossimo, se queste sono le premesse, sembra sempre più complicato”. Invece è rimasto e ha vinto. “Spiaze” per i suoi detrattori. Scelte in campo e gioco possono non piacervi, ma i risultati contano. E palmares alla mano ha ragione lui.

Giuseppe De Lorenzo, 22 aprile 2024

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