Internet e il diritto all’oblio, perché tutelarlo

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Ogni minuto, nel mondo, vengono fatte 3,7 milioni di ricerche su Google. Ogni minuto, nel mondo, si guardano oltre 4 milioni di video su Youtube. In 60 secondi vengono pubblicati su Twitter 481 mila tweet; vengono effettuati 973 mila login su Facebook; si scorre la pagina di Instagram 174 mila volte.

Immettere informazioni nel web è facilissimo: ma se volessimo rimuoverle?

Internet è diventato un archivio unico nel suo genere, nel quale ogni cosa si conserva e niente si dimentica. La giurisprudenza, tuttavia, riconosce il “diritto all’oblio”, cioè il diritto a non restare esposti a tempo indeterminato ai danni che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare alla reputazione.

Ma ciò viene effettivamente garantito? Come è possibile realizzarlo concretamente? L’istituto della riabilitazione ha ancora un senso o è un “fine pena mai”?

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014, resa nella causa Google Spain, ha aperto la strada ad una vera e propria “privacy revolution”, indicando un generale punto di svolta, ma è necessario che poi si concretizzi a livello Europeo un’unica direzione sulla vicenda senza lasciare la discrezionalità a Google e all’Algoritmo.

I capisaldi del nuovo Regolamento Generale sulla Protezione dei dati personali (GDPR UE 2016/679) – direttamente applicabile a tutti gli Stati membri dell’Unione dal 25 maggio 2018 – prevedono, in particolare, la garanzia di una maggiore trasparenza nel trattamento dei dati e la possibilità di esercitare un effettivo controllo sulla circolazione degli stessi, in particolare  L’art. 17 del GDPR, intitolato – nella versione finale, così come emendata dal Consiglio – «Diritto alla cancellazione (“diritto all’oblio”)», riconosce, all’interessato, «il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento la cancellazione dei propri dati personali senza indebito ritardo», ove i dati non siano più necessari, rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti, nel duplice caso in cui l’interessato stesso ritiri il consenso su cui si fondava il trattamento ovvero si opponga al trattamento dei dati personali, allorché i dati siano stati trattati illecitamente e, infine, quando gli stessi debbano essere cancellati per l’adempimento di un obbligo legale cui è soggetto il responsabile del trattamento.

Ricordiamo anche come caposaldo l’art 27 comma 3 della Costituzione, secondo cui “Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato”. È il principio della funzione rieducativa della pena. Questa, cioè, non deve avere soltanto la funzione di punire, ma anche (e soprattutto) quella di favorire il reinserimento sociale del condannato, la sua restituzione alla società civile. Ebbene, la pena non potrebbe assolvere alla funzione di restituire il condannato alla società civile se in quest’ultima rimanesse ben saldo il ricordo di quanto quel condannato ha fatto. Ricordo che sarebbe rafforzato proprio dalla riproposizione dello stesso fatto. E ciò dovrebbe valere tanto per i reati minori, quanto per quelli più efferati.

Milko Pennisi, 3 maggio 2019

 

Fake news, notizie irrilevanti, notizie vere ma vecchie, gossip inutile, tutto rimane e si viene giudicati per questo e non per quello che si è, di tutto questo parleranno a Milano il 6 maggio come nella locandina allegata:

Gherardo Colombo, ex magistrato

Camillo Milko Pennisi, ex consigliere comunale e socio Sulleregole

Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale

Umberto Ambrosoli, avvocato

Marta Staccioli, Legal counsel di Google

Introduce: Milly Moratti, presidente dell’Associazione ChiAmaMilano

Modera: l’incontro Peter Gomez

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