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Investimenti in Borsa: occhio a due pericoli (e come scansarli)

Malgrado la tenuta degli utili delle grandi società quotate e il percorso discendente imboccato dall’inflazione, sul pannello di controllo delle Borse ci sono due spie rosse accese. La prima pulsa per segnalare i rendimenti obbligazionari, la seconda il grado di concentrazione degli indici conseguente all’euforica capitalizzazione raggiunta dalle cosiddette “Magnifiche sette”: Nvidia, Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, Meta Platforms e Tesla. Ripercorriamo i problemi all’orizzonte con l’aiuto del colosso internazionale del risparmio gestito Schroders e del suo Group Chief Investment Officer Johanna Kyrklund.

Rendimenti “troppo” generosi

Acquistare un’emissione obbligazionaria, magari perfino un Titolo di Stato, che unisce alta affidabilità e un generoso rendimento soddisfa tutti. C’è tuttavia una misura da rispettare, in caso contrario si rompe l’equilibrio. Gli Stati dovranno pagare molto per rinnovare un debito pubblico che nell’ultimo decennio hanno alimentato – e che continueranno ad alimentare – per sostenere politiche fiscali espansive, sovente di stampo populista. Questo porta a ulteriore debito, alimentando timori sulla tenuta dei bilanci pubblici a lungo termine.

Il caso del paziente inglese

Kyrklund porta ad esempio la generosa politica fiscale adottata dalla Gran Bretagna e il conseguente livello di indebitamento. “Il Regno Unito è sotto esame con un aumento significativo dei rendimenti dei Gilt. Questa volatilità evidenzia come la politica fiscale sia un driver molto più importante per i mercati rispetto a un decennio fa”, spiega l’esperta di Schroders rimarcando come questo non sia una fragilità solo del paziente inglese. Al contrario l’invecchiamento demografico e la necessità di spendere in nuovi ambiti, compresa la Difesa per fare fronte allo scenario post conflitto in Ucraina e crisi di Gaza, porteranno a livelli di indebitamento più elevati su entrambe le sponde dell’Atlantico.

I superbond minano le azioni

Proprio il macigno del debito pubblico, tuttavia, rappresenterà il limite ultimo di velocità per i rendimenti di mercato perché gli Stati dovranno fare i conti con l’inflazione e con il rosso delle casse pubbliche. Di questo il nostro Paese ne sa qualcosa da almeno 50 anni. “Le valutazioni azionarie possono essere sostenute se i rendimenti obbligazionari non salgono troppo. Con il rendimento dei titoli di Stato statunitensi a dieci anni che ora si aggira intorno al 4,8%, stiamo iniziando a entrare in una zona più pericolosa per le valutazioni azionarie rispetto alle obbligazioni. L’aumento dei rendimenti obbligazionari può allontanare il denaro dal mercato azionario e aumentare i costi di finanziamento per le aziende”, mette in chiaro Kyrklund.

Big Tech troppo ingombranti

Passiamo ora alla seconda spia rossa accesa, quella collegata al sensore che misura la concentrazione degli indici ponderati per la capitalizzazione di mercato. In sostanza la corsa delle quotazioni delle cosiddette “Magnifiche sette” ha finito con l’appendere la sorte delle Borse all’andamento dei colossi Tech creati da un manipolo di innovatori divenuti pluri-miliardari. Sia chiaro a differenza della bolla speculativa della new economy, questa volta i fondamentali sono solidi e si macinano utili veri ma – è il monito di Schroders – “basterebbe un passo falso di una di queste per mettere a rischio i rendimenti complessivi del mercato, data la loro posizione dominante nei principali indici”.

Mai investire con lo specchietto retrovisore

Il livello di concentrazione degli indici di Wall Street supera infatti di gran lunga quello della fine degli anni Novanta. E similare è la situazione in Europa o in Giappone. “Dal punto di vista del portafoglio, un’esposizione così elevata a un numero ristretto di titoli non è prudente”, aggiunge Kyrklund. Senza contare che è sbagliato trattare in blocco aziende che invece hanno ciascuna una storia e caratteristiche specifiche. Niente euforia generalizzata, e mai investire con lo specchietto retrovisore, quindi. Perché spesso chi si affida ai campioni del passato, resta con il cerino acceso in mano.

Senza contare che ora più che mai occorre prudenza negli investimenti, evitando soluzioni “fai-da-te” e affidandosi ai consigli di un bravo consulente finanziario per costruire un portafoglio progettato sulle proprie esigenze. E, ora più che mai, è fondamentale andare oltre i “soliti” titoli e abbracciare prospettive più ampie che, come con i fondi d’investimento, diversifichino il capitale a livello di aziende e geografie grazie al ricorso di professionisti. I dazi minacciati da Donald Trump e le tensioni geopolitiche irrisolte non perdonano errori.

 

Fonte: Schroders

 

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