Politica

“Io accuso la politica”. L’orgoglio di Toti e la lezione nella prima intervista

L’ex governatore della Liguria a Quarta Repubblica: è sicuro, deciso, intenzionato a combattere. E punta il dito contro i manettari

Giovanni Toti QR

Se avete una mezz’ora di tempo, e malauguratamente vi siete persi ieri sera l’intervista di Giovanni Toti a Quarta Repubblica, è il caso che andiate a rivederla. Non tanto per via dello scoop (per la prima volta l’ex governatore era in tv dopo l’arresto per presunta corruzione, dopo i lunghi domiciliari e le dimissioni forzate), quanto per l’orgoglio ferito dimostrato, per la forza con cui rivendica ogni azione e soprattutto per la lucidità con cui mette in stato d’accusa il sistema politico. Colpevole di aver delegato alla magistratura “il giudizio morale” sui suoi atti, concedendole un potere sovrabbondante diventato poi eccessivo.

Tutti questi complimenti potrebbero apparire un eccesso di piaggeria? Chi se ne frega.

Non parleremo tanto della questione giudiziaria. Oltre che impossibile (migliaia di pagine di atti, tre anni di intercettazioni no stop) sarebbe anche riduttivo. Ieri infatti Toti non è andato a Rete4 per rispondere punto su punto alle contestazioni dei magistrati, cosa che intende fare non appena si aprirà il processo. Sostiene di sentirsi “in pace con la coscienza”, ricorda che tutti gli atti che gli vengono contestati sono “legittimi”, che “nessuno è stato chiamato in correità” e che “i finanziamenti ricevuti sono tutti registrati”. E questo basta. In realtà Toti si è presentato in tv per reagire all’ingiustizia che l’ha costretto a lasciare il suo lavoro prima ancora di potersi difendere in Tribunale, per accusare i partiti di opposizione – sciacalli – che gli hanno chiesto di “non tenere ai domiciliari la Liguria” e magari anche per lanciare una stoccata verso gli alleati di governo così timidi nel prendere le sue difese.

Tutta la lezione di Toti, che già nelle sue memorie difensive era stato preciso e deciso, ruota intorno ad una frase. Questa: “A differenza di molti altri, non riesco neppure ad avercela fino in fondo con i magistrati, che pure secondo me sbagliano. Io ce l’ho con la politica, con tutti coloro che dal ’94 hanno firmato, approvato e costruito leggi che hanno tolto alla politica ogni potere di azione in questo paese, lasciando alla magistratura l’idea di poter fare da giudice penale e morale di quello che fa la politica”. Cos’altro serve?

Nulla. Perché come andiamo affermando ormai da mesi su questo sito, le assurdità del caso Toti si dipanano lungo due direttive. La prima riguarda le accuse: se un governatore incassa finanziamenti leciti, si muove per accelerare pratiche che fanno bene alla sua Regione e non approva nulla che non sia legittimo, ma per tutto questo viene comunque indagato, a cosa eleggiamo a fare i politici? “Penso che il mio dovere fosse quello di parlare con Spinelli, per cui lavorano 2mila liguri, e anche di andarlo a trovarlo sul suo yacht”, ha detto, “un’azienda che crea lavoro è interesse pubblico, non privato”. Se adoperarsi per sbloccare investimenti diventa motivo di attenzioni giudiziarie, a questo punto che tutto finisca in mano ai tecnici dei Comuni e tanti saluti.

Il secondo paradosso riguarda gli arresti domiciliari. Toti ha spiegato di aver atteso 86 giorni prima di cedere al ricatto dei pm nella speranza che fossero aperti ad “un dialogo civile che portasse ad un equilibrio tra i due poteri”. In sintesi: la magistratura è libera di indagare, ma la politica deve poter continuare a governare. Invece i giudici hanno deciso di “mettere in carcere la Liguria”, hanno ritenuto che il ruolo di presidente portasse con sé il rischio insito di reiterazione del reato e a quel punto “dopo aver capito che la controparte non sentiva ragioni” Toti ha scelto di dimettersi per evitare di “far pagare alla Liguria uno scontro tra poteri che sarebbe durato a lungo”.

In entrambi i casi il problema, come ha giustamente fatto notare Toti, è che la legge permette a pm e giudici di muoversi nella totale libertà. Con un potere sovrabbondante. Possono creare un teorema su come ci si debba approcciare alla pubblica amministrazione, intercettare un amministratore per anni senza un vero perché e infine costringerlo a dimettersi prima ancora di potersi difendere. E questo, ha ragione Toti, è solo colpa della politica. Che in questi anni glielo ha sempre lasciato fare.

Giuseppe De Lorenzo, 3 settembre 2024

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