Fendo l’aria con le mani, le fronde del salice tessono insieme il verde e l’azzurro, l’odore dell’erba mattutina mi inebria e ne mastico il sapore. Chiudo gli occhi camminando per domare il caos. Mi sono guadagnata questo spazio di solitudine per guardare dentro me e riuscire a vedere te. In questa stradina di una finta campagna di una finta città, posso essere finalmente vera. Dove sei? Sforzo tutti i miei sensi perché ho paura di perderti.
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Dormo scomposta nel lettone della nonna con i capelli arruffati che mamma mi ha tagliato male, il sonno mi vince, ma tu sei dolce: “Andiamo a fare colazione?” Mi guardo accanto, Bianca dorme e la lasciamo dormire, perché quella occasione è solo nostra. Ti do la mano, ti seguo. Ci avvolge un profumo caldo e piacevole, l’acquolina affina le sensazioni, entriamo in quel bar del litorale romano, solo io e te. Il profumo dei cornetti caldi, il rumore dei piattini appoggiati sul bancone e le voci indistinte benedicono quel tempio esclusivo di amore e caffè.
“E Tirchippide trovò Socrate che rifletteva con il sedere all’insù, a guardare il cielo nel suo Pensatoio” scoppio a ridere, immaginando quel sacro filosofo in una posa così comica; tu interpreti i personaggi, cambi la voce, modifichi l’espressione e in quella calma serale mi presenti Aristofane che diventa per me un amico. Le Nuvole sono il mio leitmotiv e di quella commedia conosco ogni passaggio, perché l’ho messa in scena decine di volte nella mia mente, mentre leggevi tu. Dalle Nuvole alla terra, dal mio primo istante a oggi sento il timbro della tua voce, la saggezza delle tue parole mi culla, mi guida, mi turba, mi fa allontanare e infine mi riporta al cuore di tutto. Parole rotonde, medaglie vinte in una dura battaglia.
Sento il tuo passo che sale le scale, limito il mio entusiasmo quotidiano per non essere inopportuna. Il tuo arrivo porta sempre qualche novità. A lungo ti guardo, mentre con panni comodi accosti i listoni… vuoi rendere la mansarda un posto accogliente e tanto, tanto legno c’è da sistemare. Ti faccio compagnia e guardarti, mentre lavori, mi dà solidità, perché costruisci le mie certezze un pezzo alla volta. Ti aiuto un po’ e ritorno alle mie cose; so che la grande casa è attorno e non crollerà.
“Sai che ho recuperato un legume antico? Si chiama cicerchia. Guarda che belle queste mele annurche! Le mangiavo da piccolo. Assaggia questo pane, ho mescolato delle farine integrali, dimmi che ne pensi”.
Ti prendo in giro per queste tue manie, ma lo sai che alla fine assaggerò tutto. Ricerchi l’originale e il buono anche nel cibo e io non so come farti smettere di perseverare in questa ricerca continua, perché vorrei fare una pausa e non pensare a niente, ma con te è impossibile e mi trovo a sorseggiare un decotto di borragine. Tutti eleganti, anche tu. Nella divisa di gala mi rendi fiera, nemmeno la regina di Saba può essere più contenta. A mamma non va e i fratelli sono impegnati. Ma io amo queste cose e tu lo sai. Diciannove anni e un bel vestito, ti sto attorno e sorrido a quel mondo impettito e coraggioso in cui sei cresciuto e che hai abbracciato con piena umanità. Mi fermo davanti alle leccornie, fingo un lignaggio che non ho, gioco a fare la dama e tu sorridi, perché sai che mi solleticano le cose del mondo, le signore eleganti e le mostrine sulla giacca. Da Cincinnato quale sei, poco t’importa delle apparenze e già pregusti il lavoro dei campi nella tua casa vicino al fiume.