Cronaca

Il colloquio

“Io poliziotto dico: il migrante morto? L’unica vittima è l’agente”

Pasquale Griesi difende gli uomini in divisa: “Per agire in strada abbiamo pochi secondi. E spesso la scelta è: la nostra vita o quella dell’aggressore”

poliziotto migrante © LIVINUS tramite Canva.com

A Pasquale Griesi, Segretario del sindacato FSP Polizia di Stato, non va proprio giù quanto successo a Verona. O meglio: ad essere indigesto è il racconto che ne viene fatto, con questa tendenza a dipingere il migrante del Mali – colpito a morte da un poliziotto che cercava di difendersi – come una vittima innocente. Griesi ricorda che in questo tragico caso “l’unico aggressore è lo straniero armato di coltello”, non l’uomo in divisa. “Il racconto è importante: io non ricordo ‘vittime’ che se ne vanno in giro con un’arma seminando il panico”.

Griesi è tranchant. E fa un collegamento tra quanto successo a Verona e le recenti pronunce del Tribunale di Roma sui centri di accoglienza in Albania. “State tranquilli – dice – I Paesi di destinazione di questi stranieri, che dovremmo chiamare clandestini, sono più che sicuri! Tutto il peggio è già arrivato in Italia. Scusate il francesismo, ma tanto poi i caz** sono delle forze dell’ordine che nonostante tutto devono intervenire”. Come a dire: si fa presto a gridare “porte aperte per tutti” se poi gli immigrati senza lavoro, permesso di soggiorno né alloggio finiscono in mezzo ad una strada, provocano degrado e criminalità. Tanto poi sarà compito delle divise gestirli.

Al telefono, il sindacalista ricorda che la morte di un essere umano è sempre una tragedia, ma le forze dell’ordine per agire hanno a disposizione pochi secondi. Un istante per scegliere se aprire il fuoco, rischiando l’indagine (come successo, puntualmente); o se abbassare l’arma, mettendo in gioco la pelle. Pur non entrando nei tecnicismi dell’uso legittimo delle armi, della legittima difesa, dell’eccesso colposo di legittima difesa e di tutte le scriminanti proprie degli agenti nell’esercizio delle proprie funzioni, Griesi con un pizzico di ironia spiega: “Ricordate il gioco carta, forbice, sasso? Ecco: il poliziotto oggi, più di ieri, deve decidere in una frazione di secondo come difendere se stesso e i cittadini e cosa sia legale utilizzare. Se uno ha delle forbici, per proporzione tirerà fuori delle forbici, possibilmente della stessa misura di quelle dell’aggressore; se ha una pietra, cercherà di trovare un sanpietrino adeguato; per la carta, salvo che non provochi tagli, non ci dovrebbero essere problemi.”

Troppo facile giudicare ex post. “Chi osserva un intervento di polizia dovrebbe considerare lo stato d’animo, la percezione di pericolo in quell’istante, tante variabili che chi ha lavorato in strada comprende benissimo.” Il vero problema “è che oggi qualsiasi mezzo venga utilizzato dagli agenti provoca polemiche”. Lo sfollagente? Giammai. Lo scudo? “Fascisti, fascisti”. Gli idranti? Nemmeno a parlarne. Anche il taser “è riuscito a provocare aspre critiche”, eppure se il poliziotto di Verona avesse avuto l’arma a impulsi elettrici, probabilmente non avrebbe dovuto premere il grilletto della sua pistola. E forse il giovane maliano sarebbe ancora vivo. Viene allora da chiedersi: non è che “a qualcuno la presenza di cittadini in uniforme, proprio non piace”? “Parlare e giudicare a priori – conclude Griesi – non è ‘proporzionato’ verso il lavoro di chi deve prendere una decisione in pochi secondi, di chi deve scegliere se salvare la propria vita, quella di cittadini inermi o quella dell’aggressore”. Perché qui “l’unica certezza sull’uso legittimo delle armi e sulla legittima difesa” è che se lasci la pistola nella fondina rischi di “rimetterci le penne o di essere ferito gravemente”.

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