Durante il pranzo odierno, la mia consorte ha avuto la pessima idea di accendere la televisione e sintonizzarla su una nota emittente privata “progressista”. Strano a dirsi, nel corso dell’avvincente – si fa per dire – dibattito in studio sulle politiche green e la probabile difficoltà di approvvigionamento delle terre rare, a causa delle note vicende geopolitiche, è stato trasmesso un interessante reportage girato nelle Valli di Lanzo (Alpi piemontesi).
Queste amene località turistiche sono da qualche tempo al centro dell’attenzione perché le montagne che le circondano sarebbero ricche di cobalto, metallo indispensabile per la transizione eufemisticamente denominata “green”. Quello che è emerso è che gli abitanti della zona non ne vogliono proprio sapere di aprire miniere nelle loro meravigliose valli per estrarre questo metallo, indispensabile per costruire le batterie dei veicoli elettrici (EV), le batterie di back-up per gli impianti eolici e fotovoltaici, ecc., il cui approvvigionamento dai paesi terzi sta diventando sempre più a rischio. Sono proprio strani questi valligiani, che non vogliono sacrificare sull’altare “green” le loro splendide valli, impedendo che siano devastate e inquinate da metalli cancerogeni.
Il cobalto, in effetti, ha la sgradevole prerogativa di essere un cancerogeno di categoria 1B (sostanza di cui si presume abbia effetti cancerogeni per l’uomo, prevalentemente sulla base di studi su animali). Naturalmente, insieme al cobalto verrebbero rilasciati nell’ambiente anche nichel e arsenico, non proprio dei toccasana. E qui emerge tutta l’ipocrisia dei sedicenti ambientalisti.
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Alla domanda del conduttore, rivolta all’eurodeputata in collegamento, se fosse favorevole ad aprire miniere sul territorio nazionale per centrare gli obiettivi della transizione ecologica, la risposta è stata un deciso e perentorio “No!”. Avete capito? Se si tratta di devastare intere regioni nei paesi in via di sviluppo e condannare a morte precoce tanti giovani ai limiti della sussistenza, il sacrificio è più che giustificato, perché per salvare il mondo qualche milione di vittime è più che accettabile; ma in casa nostra, proprio no!
A questo punto, inaspettatamente, il conduttore accenna – seppur timidamente – a incalzare la sempre più stizzita eurodeputata: “Ma allora… come facciamo a produrre le batterie senza le materie prime indispensabili?” E qui la risposta mi ha bloccato del tutto la digestione: “Semplice, dobbiamo puntare sull’economia circolare!” Ma io mi chiedo: come sia possibile affidare le nostre sorti e quelle dei nostri figli a persone tanto superficiali (per non dire di peggio)?
Attualmente in Europa il parco dei veicoli elettrici circolanti rappresenta più o meno il 3-4% del totale, includendo ibride e plug-in. Secondo questa illuminata eurodeputata, basterebbe riciclare (con costi elevatissimi, che si ripercuoterebbero sul già alto costo di acquisto degli EV) le batterie di qualche milione di veicoli elettrici – che, mi auguro per i proprietari, dovrebbero durare ancora una decina di anni – per ottenere le materie prime necessarie a sostituire 255 milioni di veicoli europei a combustione interna (ICE) con altrettanti veicoli EV! Senza contare le enormi batterie di stoccaggio indispensabili per gli impianti eolici e solari.
Non ho veramente più parole.
Qualcuno, ahimè, penserà: “Sì, ma possiamo riciclare anche le batterie dei cellulari”. C’è da considerare però un “piccolo” dettaglio: la batteria di un EV ha una capacità media di 50 kWh (Tesla Model 3 Standard Range), mentre quella di un cellulare è di circa 15 Wh. Pertanto, supponendo di recuperare totalmente i materiali contenuti nelle batterie dei cellulari, occorrerebbero più di 3.300 cellulari per una sola batteria EV. Purtroppo, per qualcuno la matematica è un’opinione e la realtà… anche.
Carlo MacKay, 27 febbraio 2025
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