Islam e schiavitù, una coppia di fatto

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A più di due settimane di manifestazioni più o meno folcloristiche in lungo e in largo gli Usa possiamo dirlo: che bello vedere tutte quelle persone in piazza! Evidentemente la terribile mortalità del nuovo coronavirus – sottolineata dalla stampa occidentale – non deve aver spaventato nessuno. Questa sì che è una bella notizia. E come negli Usa lo stesso è per l’Europa. Che bello veder tutti, ma proprio tutti, riempirsi la bocca di razzismo, schiavismo e di spose bambine. Finalmente si parla di pedofilia per il fenomeno delle spose bambine nel mondo islamico e africano!

Ma quindi si possono recuperare pure le pagine di storia sulla schiavitù strappate dai libri dai manuali? Il nuovo culmine della schiavitù coincise tra il XIV e XVII secolo, ma perdura ancora oggi nel silenzio e nell’ipocrisia. La vittima prediletta fu certamente l’Europa, quando arabi e turchi gestivano il più fiorente commercio di schiavi bianchi della storia dell’umanità, commercio che si intensificò con l’espansione dell’Impero ottomano nel Mediterraneo. I Turchi hanno razziato soprattutto le coste dell’Italia, ma anche della Spagna e dei paesi slavi: rapire, violentare e ridurre in schiavitù le popolazioni locali è stata l’occupazione meglio riuscita di sempre. E oggi sono cambiate solo alcune modalità.

D’altra parte, l’antica legge islamica afferma l’ineguaglianza e l’inferiorità tra gli uomini di diverse religioni. Così come quella tra padrone e schiavo (Corano, 16:71; 30:28). È il Corano ad assicurare ai suoi fedeli il diritto di “possedere i colli” dei loro servi. Si può essere oggetto di compravendita o bottino di guerra, poco importa. La schiavitù è un diritto rivendicato dallo stesso Maometto che ebbe dozzine di schiavi, sia maschi che femmine, oltre che spose bambine.ʿĀʾisha (la madre dei credenti) aveva sei anni quando venne data in sposa a Maometto e resterà, tra le mogli, la prediletta, oltre che quella, dopo la sua morte, che più si spenderà per la scissione con gli sciiti considerati poco ortodossi.

Ibn Timiyya, uno dei primi e certamente più importanti giuristi islamici, scriveva, “l’acquisizione dei servi è regolata dalla legge ed è possibile per il musulmano uccidere un infedele o metterlo in catene, assicurandosi in questo caso anche la proprietà legale dei suoi discendenti nati in cattività” . Cosa non concessa, al contrario, per un musulmano con un altro musulmano: “poiché quella islamica è la più nobile e superiore delle razze”, (Ibn Timiyya).  Il traffico di schiavi neri era particolarmente intenso già nel VII secolo, quando i mercanti musulmani, operando soprattutto nell’Africa sahariana e sub-equatoriale, prelevavano, soprattutto dal Mali, Senegal, Niger, Ciad Meridionale, Nigeria,Camerun, Kenya e Tanzania, milioni di persone per venderle o scambiarle nei grandi mercati del Marocco, della Tunisia, dell’Egitto e della Penisola Araba. Non si trattò mai di un fenomeno sporadico o desueto. Lo schiavismo islamico durerà ufficialmente per quattordici secoli – oggi ha solo cambiato alcuni connotati -, mettendo in catene oltre 100 milioni di neri e bianchi, e rendendolo tra le attività più remunerative tra quelle gestite dai mercanti musulmani.

A Lepanto (1571) come a Vienna (1683) – gli ultimi due più importanti attacchi alla cristianità prima della storia contemporanea -, tra le file degli islamici, sulle navi da guerra e nelle retrovie, c’erano bianchi e cristiani fatti schiavi. I turchi, poi, la esercitarono ampiamente nei Balcani, in Russia Meridionale e in varie aree del Caucaso, come l’Armenia cristiana. A Istanbul c’è sempre stato un ridente mercato di schiavi: anche se i prediletti son sempre stati i bianchi cristiani, vittime della pirateria nel Mediterraneo, esercitata soprattutto dagli algerini, che per secoli hanno terrorizzato le popolazioni costiere italiane. Una domanda che ha sempre assillato gli storici è stata sicuramente perché le discendenze degli schiavi sono sempre state visibili negli Usa, in Brasile, nella Repubblica Dominicana e Haiti, ma non per Medio Oriente, Iraq, Iran, Arabia Saudita, etc.. Sebbene la storia sia durata così tanto.

In Arabia Saudita, per esempio, centro del culto islamico, almeno lo schiavismo è stato abolito nel 1962, ma esiste un ben oliato mercato per la vendita di domestiche straniere facilmente reperibile online.  Nel 1982, la Anti-Slavery Society, in seguito ad un’indagine, decretò che in Mauritania c’era una popolazione «fantasma», composta da almeno centomila schiavi e trecentomila semi schiavi neri. Nel 1999 l’allora vice-segretario di Stato americano per gli Affari Africani, Susan Rice, chiese un rapporto all’Onu sul tema, ma il presidente Clinton lo archiviò – qualcuno sostiene per il poco coraggio dell’allora presidente a ficcare il naso in un Paese pericoloso come il Sudan. Si tratta in effetti di una vera e propria tradizione del partito democratico quella di difendere la schiavitù (vedi James Buchanan o Jefferson Davis, per esempio). ÊIosephina Bakhita, è la prima santa del Sudan, canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000. Ed è stata proprio una giovanissima schiava, venduta e rivenduta sui mercati di El Obeid e Khartoum. Quando finì tra le mani di un generale turco venne marchiata con un rasoio sul ventre e sul braccio destro con strani segni, e poi ricoperta di sale per creare cicatrici permanenti. Venne poi comprata dal console italiano Callisto Legnani al solo scopo di liberarla, come aveva già fatto con altri bambini schiavi. Si era intorno al 1890.

D’altronde la Chiesa cattolica, anche sulle basi delle conclusioni teologiche di san Tommaso D’Aquino, ha sempre rigettato e considerato un peccato la schiavitù, che di fatto in Europa era stata praticamente abolita già nei primi secoli del medioevo. Nel Medioevo nacquero anche due ordini, i Trinitari e i Mercedari, solo per liberare gli ostaggi dell’islam, come la nostra Silvia Romano. Ma oggi, a più di un secolo di distanza dalla storia di santa Bakhita, tra il Sahara e il Nilo di schiavi ancora ce ne sono, e sono schiavi di islamici: eredi di quella tratta che per secoli ha trasferito con la violenza dall’Africa sub-sahariana verso le terre arabe e musulmane quasi 14 milioni di africani.

Anche il Corriere della Sera pubblicò un reportage a puntate nel 2003, firmato da Fabrizio Gatti, per documentare la schiavitù del XXI secolo. E Gatti scriverà, “È una vecchia storia. Arabi libici e neri hausa del Niger considerano gli abitanti della costa africana semplicemente inferiori. Un tempo attraversavano il Ténéré e il Sahara sulla stessa rotta, per comprarli e rivenderli come schiavi. Adesso li ammassano sui camion peggio delle bestie. Cammelli e capre fanno viaggi di prima classe, a loro confronto. Hanno spazio per sdraiarsi, fieno e acqua. Dei clandestini a nessuno importa se muoiono nel deserto”.

Bisogna senz’altro ringraziare il movimento dei demolitori di statue e degli antirazzisti se adesso si può finalmente avere l’occasione per raccontare di nuovo la storia riscritta dai sessantottini. Però, ora che hanno alzato l’assist, ci toccherà pure raccontare delle bambine sottoposte a mutilazione genitale femminile anche in Occidente – per non acuire la nostalgia del mondo islamico – e delle spose bambine.

Lorenza Formicola, 21 giugno 2020

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