Domani Israele va al voto, i seggi saranno aperti dalle otto di mattina alle dieci di sera e, vista la straordinaria situazione che si è venuta a creare negli ultimi mesi, si prevede un’alta affluenza degli aventi diritto. Si voterà nelle grandi città come nei piccoli villaggi di frontiera sul Golan, al confine con il Libano e anche a Sderot e dintorni, la zona che da oltre dieci anni è martellata dal continuo lancio di missili di Hamas da Gaza.
Voteranno tutti, la maggioranza ebraica, gli arabi israeliani, musulmani e cristiani, i beduini musulmani, i drusi e i circassi. Questa tornata elettorale è molto importante perché, bisogna sempre tenerlo presente, oltre ad essere l’unica votazione libera e democratica di tutto il Medioriente dovrà, almeno sulla carta, risolvere i problemi della politica israeliana, ora più che mai in un cul de sac. Già il 9 aprile di quest’anno gli israeliani erano stati chiamati alle urne per eleggere i 120 membri della Knesset, il parlamento, ma l’assemblea uscita da quelle elezioni non è riuscita ad esprimere una maggioranza, soprattutto dopo il secco “no” da parte di uno dei partiti di destra, un “no” nato più dall’antipatia personale tra il suo segretario Liberman verso il Premier che da ideali politici.
Alla fine, dopo mesi di consultazioni, il Primo Ministro in carica Benjamin Netanyahu ha deciso di proporre la dimissione del parlamento, proposta accolta dalla maggioranza dei deputati e, a quel punto, il Presidente Rivlin non ha potuto fare altro che indire nuove elezioni. C’è da chiedersi come mai il voto popolare non abbia dato a nessun leader politico quella maggioranza necessaria per formare un governo, addirittura in una nazione come Israele che da quando ha dichiarato la propria indipendenza ha sempre avuto enormi problemi con i suoi vicini. Secondo il modesto parere di chi scrive c’è un male moderno che affligge quasi tutte le democrazie occidentali, un male che si chiama tutti contro uno. Lo abbiamo visto negli USA durante le elezioni presidenziali, tutti contro Trump, il Partito Democratico, la stampa USA e quella estera, la Magistratura e l’Fbi e, per assurdo, anche certi esponenti del Partito Repubblicano del quale Trump era il rappresentante.
Lo stesso canovaccio si è ripetuto per le presidenziali francesi con un tutti contro Marine Le Pen dove l’attuale presidente Macron oltre a far convergere a suo favore tutti i voti di chi era contrario all’esponente della destra, ha avuto a suo favore tutta la stampa, nazionale ed estera con vari endorsement arrivati da tutto il mondo, dai leader del presente come da quelli del passato come l’onnipresente Barak Hussein Obama. Cosa dire poi, e questo gli italiani lo sanno bene, delle maggioranze dei tutti contro uno che eleggevano i governi Prodi, con l’aiuto esterno della magistratura, bravissima a far scattare indagini a orologeria, che avevano come primo obbiettivo azzerare tutto quello che aveva fatto Berlusconi prima di loro e, una volta fatto, incominciavano a litigare su tutto.
Israele non è immune, ed anche qui, inutile dirlo, si ripete il solito canovaccio di tre partiti, che da soli non conterebbero niente, uniti dall’odio verso il leader del Likud, guidati da un Yair Lapid ex giornalista e anche ex ministro di Netanyahu, figlio di Tommy Lapid, un politico che si fece eleggere promettendo l’abrogazione della legge che prevede l’esenzione del servizio militare obbligatorio per i religiosi e che nel momento della votazione si schierò a favore, tradendo palesemente il mandato popolare. Da Bughi Allon, anche lui ex ministro in uno dei governi Netanyahu, e Benny Gantz, la vera stella nascente, ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito che, se da una parte sta riscuotendo tutti i crediti di chi vorrebbe mandare Netanyahu in pensione, con l’appoggio della stampa nazionale ed estera con endorsement che arrivano da tutta Europa, il suo alleato Lapid è stato gradito ospite all’Eliseo dal Monsieur Macron, ed anche della magistratura, che in questi casi non manca mai.