Ormai da undici settimane, Israele è travolto dalle proteste, culminate con lo sciopero dei sindacati insieme a molte sigle a tutela dei diritti degli imprenditori. Si tratta delle più grandi mobilitazioni della storia del Paese da oltre settant’anni. Si sono fermate scuole, università, ospedali e perfino gli atterraggi e i decolli dall’aeroporto Ben Gurion. Il tutto ulteriormente esploso dopo la decisione del primo ministro, Benjamin “Bibi” Netanyahu, di licenziare il ministro della Difesa in carica, Yoav Gallant, contrario alla riforma della Giustizia.
Le accuse a Israele
Ma cosa prevede esattamente questa riforma? E perché i giornali italiani festeggiano così tanto? Rispondiamo subito alla seconda domanda: i media del Bel Paese brindano perché si tratta di un governo di destra, il quarto con a capo Netanyahu. Anzi, più a destra dei tre precedenti. A ciò, si affianca un’eterna libidine per le autorità palestinesi, in una narrazione che ha visto – in particolare a sinistra – Israele come un non-Stato, usurpatore delle popolazioni arabe presenti nella regione. Da qui, sono partite le accuse di fascismo, autoritarismo, nel tentativo della destra israeliana di rovesciare il sistema democratico dello Stato, l’unica democrazia nel Medio Oriente in mezzo a regimi, dittature e oligarchie.
Ma, appunto, questa riforma della Giustizia è veramente pericolosa per il tessuto liberale di Israele? La risposta è no. E questo anche per un dato fondamentale: il governo e una larga fetta delle opposizioni sono concorde nell’applicare le nuove proposte, che andrebbero a limitare i poteri della Corte Suprema a favore di quelli esecutivi.
Corte Suprema
Le novità sono essenzialmente tre. Uno: si consentirebbe alla Knesset, il parlamento israeliano, di rovesciare le decisioni della Corte suprema con una maggioranza di 61 voti su 121 seggi. Un obiettivo raggiungibile con pochi problemi, visto che il governo può contare su 64 seggi, ma che andrebbe a rappresentare la maggioranza assoluta dei voti espressi dai rappresentanti del popolo.
Il punto della riforma si fonda sul presupposto che Israele non ha una sua Costituzione. Negli anni, infatti, sono state approvate dal parlamento tredici “leggi di base”, ispirate alle indicazioni della Dichiarazione di Indipendenza, al cui interno si concentrano i rapporti tra i vari poteri dello Stato. La Corte Suprema, fino ad oggi, può bloccare e rinviare alla Knesset una norma che contraddica queste leggi, oppure sulla base di una clausola di carattere soggettivo, definita di “ragionevolezza”. Questo, però, ha offerto una vera e propria spada di Damocle al potere giudiziario rispetto alle decisione di quello esecutivo.
Caso lampante è stato quello di Aryeh Deri, leader del partito Shas, nominato ministro da Netanyahu, nonostante avesse patteggiato una condanna per evasione fiscale, in cambio della promessa di ritirarsi dalla vita pubblica. La Corte Suprema ha deciso di applicare la “clausola di ragionevolezza”, rinviando il tutto alla Knesset.
Revisione delle leggi
Due: la riforma, priverebbe la Corte suprema del potere di revisionare le leggi fondamentali di cui sopra, che rappresentano il fondamento giuridico della democrazia israeliana. Dittatura? No, ma una misura simile a quanto codificato dai padri costituenti italiani, sancendo il divieto assoluto di modificare i primi 12 articoli della nostra Carta.
Per approfondire:
- Israele, i giornali godono per Bibi? Ci vedono dietro Meloni
- Razzi sull’Iran, cosa c’entrano Israele e l’Ucraina
- Israele ripiomba nell’incubo terrorismo
Nomina dei giudici
Tre: l’obiettivo sarebbe quello di cambiare la selezione dei giudici della Corte Suprema, oggi soggetti ad un panel indipendente. Il dato rilevante è che, a differenza di quanto esposto dai media italiani, l’obiettivo è ben lontano dal rovesciare la democrazia israeliana. Banalmente, anche negli Stati Uniti, i giudici della Corte sono scelti direttamente dal presidente in carica in quel momento, con il consenso confermativo del Senato Usa.
Una riforma che, sotto il profilo politico, può essere condivisibile o meno (che, per ora, è stata rinviata dallo stesso Netanyahu, come da lui dichiarato nella serata di ieri), ma che presenta tutto fuorché il tentativo della destra israeliana – insieme ad una parte della sinistra – di ribaltare i principi fondanti dell’unica democrazia del Medio Oriente. Ma andate a spiegarlo ai nostri “competenti” dell’informazione.
Matteo Milanesi, 28 marzo 2023