Esteri

Israele, da 17 giorni i tank fermi: perché rinvia l’invasione

Israele ha confermato che l’offensiva di terra è sospesa. Cosa aspetta Tel Aviv? Intanto arrivano nuove minacce dall’Iran

isarele attacco gaza

Diciassettesimo giorno di guerra tra Israele e Hamas. Il conto dei morti è salito a 6.400 – 5.000 palestinesi e 1.400 israeliani – mentre il numero di ostaggi nella Striscia di Gaza è salito a 222. Sono ore delicate, con incontri diplomatici in Medio Oriente per tentare di arrivare al cessate il fuoco. Un primo segnale è arrivato dall’esercito israeliano – l’Idf -che ha accolto la richiesta da parte degli Stati Uniti di rinviare l’operazione militare di terra a Gaza.

La pressione degli alleati – in particolare di Washington – avrebbe sortito effetti. La decisione di Israele di ritardare la tanto evocata offensiva di terra dentro la Striscia è emblematica. La principale ragione di questa scelta sarebbe legata all’attesa dell’arrivo di altre forze statunitensi nella regione, ma non solo. Secondo quanto riferito dalla Radio militare israeliana, tra le motivazioni del ritardo dell’assalto vi è il timore di conseguenze impressionanti per i circa 350 mila civili palestinesi che si trovano ancora nel nord della Striscia.

Leggermente diversa la versione che arriva dagli Stati Uniti. Secondo il New York Times, i funzionari statunitensi hanno posto l’accento sul consiglio dell’amministrazione del presidente Joe Biden di rinviare l’invasione di terra della Striscia di Gaza per guadagnare tempo per condurre negoziati sugli ostaggi e consentire agli aiuti umanitari. A tal proposito, in mattinata un nuovo convoglio di aiuti è entrato nella Striscia attraverso del valico di Rafah, al confine con l’Egitto.

Per approfondire:

Ma Israele deve fare i conti anche con un altro fronte, che potrebbe portare a un’escalation regionale. L’Iran ha infatti rinnovato le minacce a Tel Aviv: il comandante in seconda della Guardia Rivoluzionaria iraniana Ali Fadavi s’è detto pronto ad attaccare “senza esitazione” la città di Haifa “se necessario”. Intimidazioni legate indissolubilmente al monito arrivato nella giornata di ieri dal governo di Teheran circa l’arrivo a una situazione “incontrollabile” qualora il conflitto con Hamas proseguisse al ritmo attuale. L’allargamento del conflitto non è più un’ipotesi remota.