Italia 2020: il dramma degli esuberi Alitalia, Ilva e Peugeot-Fca

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L’ho già detto e scritto pur sapendo che, come ovvio, il mio punto di vista non solo non vale nulla, peggio, può essere smontato da un semplice “questo lo dice lei”. Testardamente però lo ripeto: Sono terrorizzato che nel 2020 esploda una tempesta perfetta innescata dagli esuberi di Alitalia, ILVA, Peugeot-FCA e relativi fornitori e indotti.

Sono terrorizzato perché il governo del Paese, ormai da trent’anni è condizionato da un modello politico, economico, culturale imbarazzante (il Ceo capitalism). Siamo stati governati da tutte le nuance dell’incompetenza, politica, accademica, mediatica. Con il ConteBis abbiamo raggiunto vette impensate. Poi, ci sono quelli fermi alla negazione di una qualsiasi forma di politica industriale a prescindere, ovvero quelli fermi a certe locuzioni tipo: “Un Paese che possiede il 50% delle opere d’arte del globo non può non avere una compagnia aerea di bandiera”. A questi si associano i propugnatori di un’altra locuzione “Siamo la seconda potenza manifatturiera europea non possiamo non produrre autonomamente l’acciaio che ci serve”. Poi ci sono quelli “ritardati” che dicono: “Se i francesi chiudono gli stabilimenti Fiat, noi la FCA la nazionalizziamo, tiè!”, che fanno pendant con quelli che vorrebbero che l’Europa non approvi l’acquisizione di FCA (società americana) da parte di Peugeot. Tutte affermazioni velleitarie perché tutte non supportate da alcuna credibilità del modello e da serie modalità di execution.

Ho scritto “ritardati” non in termini di intelletto (me ne guarderei bene, trattandosi di personaggi dell’élite industrial-sindacale più rarefatta) ma perché fingono di non sapere che Fiat Auto cessò di essere un’azienda italiana quando gli “americani” se la comprarono, al di là della forma nel 2009, dopo una rapida “nazionalizzazione-privatizzazione” di Chrysler (con vincoli sull’occupazione e sugli investimenti Usa, perché i liberali non ideologici, quando si tratta di aziende strategiche nazionali fanno così, e fanno bene).

Ora i suoi azionisti “americani” l’hanno venduta ai francesi di Peugeot, avendo in cambio quattrini e azioni (e di certo garanzie su Jeep/Ram e siti industriali). Partita chiusa. Piuttosto, auguriamoci che Renault trovi un partner terzo, perché il bonapartista (“azionista-padrone” di Peugeot-FCA) qualora dovesse avere problemi nel grande risiko dell’auto tuttora in corso, la acquisirà, terrorizzato com’è dai gilet gialli. Peccato che nessun analista abbia scritto un’ovvietà: Peugeot per l’acquisizione di FCA ha pagato un prezzo molto alto, non perché sono fessi, ma per avere la governance, proprio per “salvare” Renault, qualora fosse necessario (sia chiaro, non ho nessuna prova, ma conosco un po’ come si muovono i francesi nel business: sovranisti in purezza).

Si prenda atto che oggi “l’egoismo individuale non crea più, come un tempo, il benessere generale”: quello è un mondo finito. E allora che fare? Un’idea l’avrei ma preferisco tacere, mi farebbero passare per un pierino rincoglionito. Meglio mettersi in poltrona e vedere cosa si inventeranno questi del ConteBis, non dimentichiamolo, governo voluto dall’Establishment. Come contributo personale mi limito a quattro pillole in croce:

1. Il “lavoro” (non il consumatore) deve essere l’asset strategico al centro della scena politica economica culturale di qualsiasi Paese civile.

2. Nel mitico Sessantotto nacque una locuzione di grande successo: “Problemi complessi richiedono soluzioni complesse”. Peccato che fosse, e sia, falsa (seppur d’autore). Su questa bugia colta i “competenti” ci campano da mezzo secolo, hanno creato burocrazie oscene (vi hanno inserito i loro cari) per controllare il nulla, hanno esaltato e arricchito risibili “consulenti” e i cosiddetti “tecnici”. In realtà la locuzione corretta sarebbe stata quella nota dalla notte dei tempi: “I problemi sono tutti complessi, ma tutti hanno una soluzione, se chi l’affronta è un leader.”

3. Di fronte alla prossima crisi, siamo molto più fragili che nel 2008, ma fingiamo che così non sia. Tranquilli, tutti i nodi vengono al pettine.

4. Mi chiedo: perché anziché assistere al progressivo, inarrestabile fallimento del proprio modello politico economico culturale, non fare una feroce autocritica e lavorare per modificarlo, prima che arrivino i gilet gialli?

Riccardo Ruggeri, 12 novembre 2019

Zafferano.news

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