“La mia bellissima guerriera Indi Gregory. Onestamente, sento, nel profondo del mio cuore, che Indi non era solo bella, forte e unica. Sapevo fin dall’inizio che era molto speciale”. È con queste parole che Dean Gregory ha iniziato il discorso d’addio ai funerali della figlioletta. La cerimonia si è svolta lo scorso venerdì nella cattedrale di Nottingham alle 10.15 (ore 11.15 in Italia), a officiarla è stato il vescovo cattolico Patrick McKinney. La piccola di soli otto mesi era affetta da una rarissima malattia mitocondriale, una situazione che ha portato l’Alta Corte di Londra a disporre la sospensione dei trattamenti vitali, avallando così la posizione del Queen’s Medical Center di Nottingham, dove la bambina si trovava da febbraio scorso, ossia dalla sua nascita, avvenuta il 24.
Indi è morta il 13 novembre in un hospice per malati terminali del Derbyshire, dove era stata trasferita qualche ora dopo lo spegnimento del ventilatore meccanico che l’aiutava a respirare, restando solo con una maschera per l’ossigeno. Una vita spezzata sul nascere nonostante la dura battaglia legale condotta dalla famiglia. Una battaglia che lo stesso Dean Gregory ha menzionato nel discorso: “Non avrei mai potuto immaginare il tipo di viaggio che noi e Indi avremmo dovuto affrontare per lottare per la sua vita. Non ha dovuto solo combattere contro i suoi problemi di salute, ma anche contro un sistema che rende quasi impossibile vincere”. Un padre che ha descritto la sua bambina come una “guerriera”. “Indi ha superato così tante difficoltà: ha avuto convulsioni, 2 operazioni, sepsi, ecoli, tra le altre infezioni, che qualsiasi altro bambino avrebbe faticato a superare. Ma, la determinazione di Indi di lottare per la possibilità di vivere mi ha davvero ispirato. La forza che aveva per un bambino di otto mesi era incredibile. E questa è una delle ragioni per cui avrei fatto qualsiasi cosa affinché Indi avesse quella possibilità di vivere che le è stata negata”.
Una possibilità che invece le era stata offerta dallo Stato italiano. Infatti, l’Italia si era subito mobilitata per salvare la piccola: dalle porte aperte del Bambin Gesù alla cittadinanza italiana. Ma, nonostante il Bambin Gesù di Roma si fosse offerto di seguire e di prestare «cure specialistiche» alla piccola, il giudice dell’Alta Corte aveva negato il permesso di trasferire la bambina in Italia. La famiglia però non si era data per vinta e, col supporto dell’Italia sempre vicino ai Gregory in questa battaglia, aveva fatto sì che Indi avesse la cittadinanza italiana, in modo da avere più possibilità di essere trasferita al Bambino Gesù. Infatti, il Consiglio dei ministri, convocato d’urgenza, aveva preso la decisione in pochi minuti. Una scelta motivata da Palazzo Chigi in considerazione dell’eccezionale interesse per la comunità nazionale ad assicurare al minore ulteriori sviluppi terapeutici, dando così inizio ad una vera e propria corsa contro il tempo.
Non per nulla, due giorni dopo, il console italiano a Manchester, Matteo Corradini, diventato automaticamente suo giudice tutelare, aveva avviato le procedure per chiedere il trasferimento di giurisdizione del caso da Londra a Roma. E, mentre la Corte d’Appello valutava l’ultimo ricorso presentato dalla famiglia, il premier Giorgia Meloni scriveva al Segretario di Stato per la Giustizia del Regno Unito, Alex Chalk, chiedendogli ufficialmente di collaborare per facilitare il trasferimento della bambina in Italia ai sensi della Convenzione dell’Aia del 1996, un accordo internazionale sulla responsabilità genitoriale e la protezione dei minori ratificato dal Regno Unito nel 2012 e dall’Italia nel 2015. Tutto inutile e con tanto di giudici dell’Alta Corte apparsi quasi irritati dall’attivismo amministrativo, diplomatico e politico con cui l’Italia aveva cercato di salvare una loro piccola connazionale. Un astio che si è potuto ben constatare dalla squallida ironia emersa dalla lettera datata al 13 novembre, giorno della morte di Indi, che il “giudice” Peel, lo stesso che ha ordinato di staccare la spina alla piccola, aveva inviato a Corradini. Quest’ultimo, infatti, gli aveva richiesto, cinque giorni prima della morte della bambina, di cedergli la giurisdizione sul caso ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione dell’Aja del 1996.
“Caro signor Corradini, grazie per la sua lettera del 9 novembre in cui, in base all’articolo 9 della Convenzione dell’Aja del 1996, richiede di essere autorizzato a esercitare la giurisdizione allo scopo di fare i passi necessari per trasferire Indi Gregory in Italia”. Un astio, un’acredine, una disumanità che avevano dato conferma di quanto Dean Gregory aveva già detto sul sistema giudiziario inglese e che non ha esitato a ribadire nel discorso di addio alla figlioletta. “Ero anche disposto ad andare fino agli inferi per combattere e proteggere Indi. In un certo senso l’ho fatto, perché il sistema giudiziario stesso mi sembrava essere l’inferno. Eppure, Indi era una bambina di otto mesi che ha avuto il potere di toccare il cuore di milioni di persone in tutto il mondo! Ha ispirato amore, e da nessuna parte più che in Italia”. Quell’Italia che è stata accanto alla famiglia della piccola fino alla fine e la presenza di una delegazione del governo italiano con la ministra Roccella ai funerali ne è stata l’ennesima prova.
Una vicinanza che Dean Gregory non ha esitato nuovamente a ringraziare nel giorno di addio alla sua bambina. “Sono sicuro che Indi sia orgogliosa quanto me per l’incredibile sostegno e amore mostrato dal governo italiano, dal primo ministro italiano e dal popolo italiano. Credo fermamente che fossero gli angeli custodi di Indi durante la battaglia legale per salvarla”. Un discorso in cui Dean Gregory ha ringraziato “tutte le persone coinvolte nella battaglia legale di Indi, inclusi i miei avvocati e Christian Concern”. Una battaglia che Dean ha considerato “tra il bene e il male”. Infatti, il padre è giunto alla conclusione che: “Dio ha messo Indi su questa terra con la missione di smascherare il male nel mondo”.
Un discorso fatto di fede. Una fede nata durante questo calvario e che aveva portato il padre a battezzare la piccola. “Ma, il mio più grande conforto in questo momento difficile è sapere dove sia Indi e con chi sia ora. Ho fatto battezzare Indi per proteggerla e affinché andasse in paradiso. Mi dà pace sapere che è in Paradiso e Dio si prende cura di lei”. Un discorso da cui sono emerse dignità e compostezza: dalla condanna a un “sistema diabolico” che spezza una piccola vita prima ancora di essere vissuta “in nome del miglior interesse del bambino” ai ringraziamenti verso tutti coloro che hanno appoggiato la famiglia in questa estenuante battaglia.
Un discorso fatto di compostezza e dignità ma anche dell’amore di un padre riportato nelle parole di chiusura. Sei parole che racchiudono l’infinito: “Ti amerò sempre, Indi. Da papà”.
Nemes Sicari, 3 dicembre 2023