Il tema dell’immigrazione torna alla ribalta in quest’ultimo periodo. Ad agosto, Forza Italia ha proposto l’introduzione, nel nostro ordinamento, dello Ius scholae, – poi definitivamente bocciata alla Camera qualche giorno fa – e, proprio in questi ultimi giorni c’è stata la richiesta di condanna di Matteo Salvini, da parte della Procura di Palermo, a sei anni di carcere per aver impedito – nel 2019, quando il leader della Lega era ministro dell’Interno durante il governo Conte – lo sbarco a Lampedusa di 147 migranti, con l’accusa di averli sequestrati a bordo della nave Open Arms.
È innegabile come le vicende siano interconnesse tra di loro, sebbene non direttamente: alla luce di ciò il tema dell’immigrazione, collegato a quello della cittadinanza, è di grande interesse, oltre che di grande attualità. In realtà, l’idea dell’introduzione, da parte di Forza Italia, dello Ius scholae non era, poi, così tanto fuori luogo. Sicuramente questa tematica non rientra nell’agenda di governo, né risulta essere nel programma politico della destra, ma una revisione del concetto di cittadinanza, all’interno del nostro ordinamento, sarebbe più che opportuna per molteplici motivi.
In primis vi è da notare come il concetto di cittadinanza – dalla civiltà greco-romana in poi – sia in costante evoluzione, al pari delle altre tematiche tipiche del costituzionalismo. Infatti, è palese che oggi l’idea di cittadinanza sia in crisi, come il concetto stesso di sovranità, a causa della globalizzazione e delle migrazioni di massa. Per quanto riguarda l’esperienza italiana, l’acquisto della cittadinanza mediante Ius sanguinis – tra l’altro in uso in gran parte dei paesi democratici occidentali – è previsto dalla legge 91 del 1992. L’obiettivo del legislatore del 1992 era ben preciso, ed era legato ai fenomeni emigratori, degli italiani all’estero, che avevano caratterizzato la fine del XIX secolo e gran parte del XX secolo. Infatti, l’intento di tale legge era l’attribuzione della cittadinanza italiana ai discendenti di cittadini italiani che avevano ed hanno la residenza nel nostro Paese da almeno due anni.
Tuttavia, la Costituzione italiana, all’art. 2, riconosce i diritti fondamentali – i c.d. diritti pubblici soggettivi di cui parla tanto Georg Jellinek nella sua Allgemeine Staatslehre – non solo ai cittadini, ma agli uomini in quanto tali. La stessa Carta costituzionale riserva ai cittadini, invece, solamente il diritto di voto e il dovere di difesa della Patria e di fedeltà alla Repubblica. Il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo è tipico dei modelli liberal democratici della nostra contemporaneità. Ecco perché aggiornare il concetto di cittadinanza mediante l’introduzione dello Ius scholae nel nostro ordinamento sarebbe una grande svolta liberale per il nostro Paese. Una novità che, comunque, rientrerebbe nel solco del costituzionalismo liberale che, da sempre, pone l’accento sulla centralità dei diritti della persona.
In effetti Forza Italia, nel suo progetto di riforma, proponeva la concessione della cittadinanza italiana ai minori stranieri solo dopo aver frequentato con profitto un ciclo scolastico della durata di dieci anni che di fatto avrebbe garantito una integrazione molto più puntuale rispetto alla legge attuale. Quindi non un riconoscimento indiscriminato, come vorrebbe lo Ius soli, ma che si avrebbe solamente dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo. E aggiungerei, a tal proposito, la necessità di inserire ulteriori criteri selettivi ai fini dell’attribuzione della cittadinanza, anche con riferimento a prove ed esami severi volti ad accertare la profonda conoscenza della lingua e della cultura italiana, anche giuridica, che assicurerebbe l’idem sentire de republica.
La riforma della cittadinanza in tal senso potrebbe davvero rappresentare una svolta liberale che aiuterebbe ad appianare i conflitti che, troppo spesso, si verificano in tema di immigrazione e farebbe comprendere che ciò che la destra contrasta è la sola immigrazione illegale e clandestina.
Giovanni Terrano, 20 settembre 2024
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