Chi è (davvero) Jimmy Carter, l’ex presidente Usa che compie 100 anni

L’esponente del partito democratico è il primo inquilino della Casa Bianca a toccare il secolo di vita

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Carter

Oggi, 1 ottobre 2024, Jimmy Carter compie cento anni e ne percorro in specie la carriera politica in tre tappe.

La scheda

Nato nel 1924 a Plains (Georgia), democratico, fu Governatore dello Stato natio dal 1970 al 1976. Sconfitto Gerald Ford alle elezioni del ’76, divenne Presidente. Durante la sua amministrazione fu particolarmente attento al tema degli Human Rights. Successo importante fu l’accordo di Camp David tra Israele ed Egitto. Portò tuttavia avanti una politica estera debole e contraddittoria. Cercò dapprima una distensione con l’Unione Sovietica per tornare poi su rigide posizioni anti-sovietiche dopo l’invasione dell’Afghanistan.

Il colpo di grazia alla sua popolarità fu dato dalla pessima gestione della crisi iraniana e da una situazione economica di profondissima decadenza. Dopo avere ottenuto nuovamente la Nomination respingendo la sfida portata da Ted Kennedy, fu dunque sonoramente sconfitto alle presidenziali del 1980 dal repubblicano Ronald Reagan. In seguito grandemente attivo a livello internazionale come mediatore nei diversi conflitti, ottenne nel 2002 il Premio Nobel per la Pace. È ovviamente, il primo ex Presidente americano a toccare il secolo di vita.

Le elezioni del 1976

Si vota il 2 novembre. Cinquecentotrentotto i ‘Grandi Elettori’ e duecentosettanta la maggioranza assoluta. Alle urne il cinquantatre e sei per cento degli aventi diritto. Confronto davvero strano, unico. Da una parte, il GOP ripropone il Presidente uscente Gerald Ford che è arrivato a White House stravolgendo, legalmente per carità, ogni tradizionale metodo. È difatti stato nominato Vice Presidente secondo quanto disposto dal XXV Emendamento – usato per la prima volta a tale fine – in sostituzione del titolare della Vicepresidenza Spiro Agnew, che si era dovuto dimettere per scandali risalenti alla sua precedente carriera politica locale.

È poi subentrato a Richard Nixon dopo le dimissioni dello stesso conseguenti allo ‘Scandalo Watergate’. La nomination di Ford era stata molto contrastata in particolare dall’ex Governatore della California Ronald Reagan. Alla Convention di Kansas City – una brokered Convention – i due si erano presentati talmente vicini quanto a delegati da far dire che l’esito non era determinabile (gergalmente, ‘tooclose to call’). Prevalse, come detto, Ford, rinunciando peraltro al Vice che si era in precedenza scelto (Nelson Rockfeller) e accettando un programma conservatore lontano dalle sue stesse idee. Con lui nel ticket il Senatore del Kansas Robert Bob Dole, futuro e sfortunato candidato a White House.

Molti tra i democratici i possibili pretendenti. Fra gli altri, da citare almeno SargentShriver – già al fianco di McGovern nel 1972 – e il Senatore del Texas Lloyd Bentsen, più tardi in corsa con Michael Dukakis. A sorpresa, tra i tanti, nel corso delle Primarie, emerse il nome di un ex Governatore della Georgia, Jimmy Carter. Avendo il vantaggio di non essere stato in precedenza coinvolto in scandali a livello nazionale, infine, fu il prescelto nella Convention di New York City.

Lo ‘Scandalo Watergate’ e il fatto che il primo Presidente nella storia costretto a dare le dimissioni fosse repubblicano pesava, evidentemente, come un macigno sulle spalle del povero Ford Tutti gli osservatori pensavano che il democratico avrebbe quindi vinto facilmente.

Così, peraltro, non fu.

Un Carter assai poco incisivo alla fine prevalse davvero per un soffio. Si è calcolato che se ottomila persone avessero votato differentemente tra Ohio ed Hawaii l’uscente sarebbe restato in carica. Tra i molti terzi esponenti di partiti decisamente minori, da segnalare una nuova candidatura come indipendente di Eugene McCarthy. Al fianco di Carter, il partito indicò per la Vicepresidenza il Senatore del Minnesota Walter Mondale. Alla fine, il rappresentante dell’Asino vinse in ventitre Stati e nel Distretto di Columbia mentre il leader dell’Elefante prevalse in ventisette Stati purtroppo per lui dotati in totale di un minor numero di ‘Electors’ (duecentoquaranta) rispetto a quelli conquistati dal rivale (duecentonovantasette). Il totale non è cinquecentotrentotto perché in sede di Collegio Elettorale un voto fu dato da un dissenziente a Ronald Reagan.

Le elezioni del 1980

Al voto il 4 novembre. Cinquantadue e sei per cento gli elettori effettivamente andati alle urne. Quanto agli ‘Electors’ e alla maggioranza assoluta, lo sappiamo, a seguito dell’entrata nell’Unione di Alaska ed Hawaii e dopo l’approvazione dell’Emendamento che riconosce rappresentanza in materia anche al Distretto di Columbia, i numeri si sono stabilizzati e resteranno tali fino ad oggi: cinquecentotrentotto i membri del Collegio da eleggere e duecentosettanta il minimo da raggiungere.

Il sistema Primarie e Caucus per la scelta dei delegati alla Convention?

Certo, il Partito Repubblicano aveva introdotto le Primarie a livello appunto delle presidenziali già nella tornata del 1912 ma pochi gli Stati allora coinvolti. Ancora nel 1968, solo il quaranta per cento dei citati delegati era effettivamente scelto dagli elettori. È proprio nel 1980 che il meccanismo entra pienamente in funzione: trentasette Stati su cinquanta lo adottano. Moltissimi i cittadini coinvolti, un trionfo della democrazia di base.

Il Presidente in carica, Jimmy Carter, era talmente poco difendibile per i numerosi insuccessi specie in politica estera da temere grandemente la sfida interna all’Asinello portatagli dal Senatore del Massachusetts Edward Ted Kennedy, fratello di John e di Robert. Corre per poco tempo anche il Governatore della California Jerry Brown. Tra alti e bassi, malgrado la veemenza degli attacchi di Ted, Carter riesce a prevalere di poco nelle Primarie e ad essere nuovamente candidato in una Convention nuovaiorchese nella quale serpeggia una pesante aria di sconfitta.

A comporre il ticket, il Vice Presidente uscente Walter Mondale. Nel GOP, corsa in testa dell’ex Governatore della California Ronald Reagan che mano mano acquista vantaggio nei confronti di uno sfidante certamente di valore quale l’ex Ambasciatore all’ONU e in Cina nonché Direttore della CIA George Herbert Walker Bush. Per il vero, esiste e si palesa un terzo incomodo: il Rappresentante dell’Illinois John Anderson il quale, sconfitto, esce dal partito e si candida come indipendente.

Alla sfida conclusiva per White House numerosi altri candidati, peraltro significativi solo al fine di rappresentare comunque una idea: un libertari ano, un socialista, un comunista e via elencando. Una campagna strana con due concorrenti maggiori poco amati (Reagan diventerà Reagan governando!). Una campagna all’inizio della quale Anderson pare debba avere numerosi sostenitori in specie nelle Università tra docenti e studenti (raccoglierà un dignitoso sei e sei per cento dei suffragi popolari).

Alla fine, ulteriormente azzoppato dai fatti iraniani e dai fallimenti delle azioni intraprese per liberare gli ostaggi USA prigionieri nell’ambasciata di Teheran, Carter perde rovinosamente. Da sottolineare il fatto che si tratta storicamente dell’unica occasione nella quale uno sfidante repubblicano riesce a defenestrare un Presidente uscente e ricandidato democratico.

Non può essere messo sullo stesso piano infatti quanto occorso nel 1888, allorquando l’Asinello Grover Cleveland era stato battuto ed estromesso dal GOP Benjamin Harrison in primo luogo perché Cleveland aveva comunque vinto quanto a voti popolari e in secondo luogo perché lo stesso sarà capace nel 1892 di rivincere arrivando pertanto a conquistare, caso unico, la Casa Bianca due volte con un intermezzo.

I voti?

Ronald Reagan, quarantaquattro stati e quattrocentoottantanove ‘Elettori’. Jimmy Carter, sei Stati e quarantanove voti nel Collegio.

Mauro della Porta Raffo, 1 ottobre 2024

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