Continuano a non distendersi le tensioni tra Unione Europea e Russia. In questi ultimi giorni, oltre alla guerra in Ucraina, è tornato alla ribalta il blocco delle merci europee verso l’exclave di Mosca che si affaccia sul Mar Baltico: la regione del Kaliningrad.
Cos’è successo in Kaliningrad
Nelle scorse settimane, principale protagonista della vicenda è stata la Lituania, originariamente parte dell’Urss, ma che oggi è tra le più attive nel sostegno militare, economico ed umanitario nei confronti dell’Ucraina. Si pensi, per esempio, che il piccolo Stato baltico, composto da soli 2 milioni e mezzo di abitanti, ha inviato più mezzi bellici a Kiev rispetto a quanto abbia fatto l’Italia fino ad oggi.
Attraverso il divieto di importare ed esportare metalli, carbone e materiali tecnologici verso l’enorme territorio russo, la Lituania ha comportato al Kaliningrad una perdita stimata attorno al 50 per cento del transito di merci, così come confessato dallo stesso Anton Alikhanov, il presidente della regione: “Sono passi che possono portare a complicanze di vasta portata. L’Ue ha un obbligo di non ostacolare questo transito”.
Le due soluzioni di Putin
Sotto questo profilo, Putin ha a disposizione almeno due mosse per tentare di aggirare il blocco. Da un parte, il Cremlino potrebbe decidere di applicare il cosiddetto import parallelo, con il quale si garantirebbe la produzione delle merci bloccate nel Paese d’origine, per poi farle arrivare in patria grazie a Paesi terzi. Nonostante questa soluzione trovi già applicazione per garantire ai cittadini russi le merci di Apple, rimane pur sempre una strada economicamente dispendiosa, che aumenterebbe, in modo smisurato, i tempi dei tragitti delle merci. E quindi quasi infattibile.
Dall’altra parte, invece, una strada percorribile è quella rappresentata dal Corridoio di Suwałki, lo stretto di “fuoco” che segna il confine tra Lituania, Polonia e Kaliningrad stesso. La distanza tra quest’ultimo e la Bielorussia di Lukashenko, braccio destro di Putin, è di circa duecento chilometri.
Per il Cremlino, ormai da molto tempo, vi sarebbe la volontà di trasformare lo stretto in un ponte che riesca ad unire direttamente il Kaliningrad con l’alleata Minsk, riuscendo a garantire non solo le esportazioni e le importazioni, ma anche un notevole traffico di mezzi militari e soldati nella regione più nuclearizzata del continente.
Proprio ieri, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha specificato che, nell’eventualità in cui Ue e Lituania non dovessero risolvere la situazione, scatteranno “misure dure nei loro confronti”, proprio perché “la situazione si è protratta per troppo tempo”.
Una di queste “misure dure” potrebbe essere proprio la chiusura del Corridoio di Suwałki, portando all’isolamento dei tre Paesi Baltici dal resto d’Europa. In questo estrema ipotesi, ecco che Estonia, Lettonia e Lituania sarebbero accerchiate da territori russi o filo-russi: a nord-est da Mosca, a sud-est dalla Bielorussia ed a sud dal Kaliningrad. Tutto regolare, visto che il territorio è sotto la competenza del Cremlino.
Nelle settimane precedenti, Mosca aveva già agito con velate minacce nei confronti dell’Ue. Non è un caso che, poco tempo dopo l’applicazione del blocco, la Russia aveva ventilato l’esercizio di azioni che non sarebbero state “diplomatiche, bensì pratiche”. E l’ipotesi appena analizzata rientrerebbe perfettamente in questo contesto. Si spera solo che la situazione non scaturisca in una vera e propria tragica escalation. In quel caso, avremmo firmato la nostra condanna.
Matteo Milanesi, 10 luglio 2022