In Italia montano le polemiche sugli affari che Roma continua a condurre con Il Cairo, nonostante il ministro degli Esteri sia espressione di un partito, il Movimento 5 stelle, in cui alcuni esponenti paventavano addirittura rotture diplomatiche con l’Egitto. Ma mentre il governo fa i conti con l’imbarazzo per la vendita alla marina di Al Sisi di due navi militari, in Nord Africa continuano gli sgambetti all’Italia.
Mi riferisco a quello che sta accadendo al confine fra la Libia e l’Egitto, dove si sta materializzando il pericolo che gli attriti fra Al Sisi e Recep Tayyip Erdogan, presente in forze nel Paese nordafricano, si stiano trasformando da tafferugli per procura a scontri diretti. Per il bene della regione e del Medio Oriente intero, con ripercussioni imprevedibili, uno scontro diretto fra l’Egitto di Al Sisi e laTurchia di Erdogan è da evitare a tutti i costi. Ma con l’opinione pubblica mondiale distratta dai fatti di Minneapolis e dalle conseguenze che stanno prendendo la mano un po’ a tutti, questa pericolosa situazione sta purtroppo passando in sordina.
Un grave campanello di allarme è dato dallo spostamento di un numero importante di mezzi corazzati egiziani e soldati di fanteriache si stanno ammassando ai confini con la Libia. Troppi per essere una semplice esposizione di muscoli. Le cronache che sono arrivate e che ancora arrivano dalla Libia del dopo Gheddafi non sono mai state molto chiare, anche per questo l’opinione pubblica non ha mai capito bene il chi contro chi che si è venuto a creare dopo la caduta del Colonnello. Ma, soprattutto, non si è mai capito bene chi lavora dietro le quinte di una guerra che fino a questo momento è stata fra libici ma che, come già detto, potrebbe presto trasformarsi in uno scontro fra potenze. Non dimentichiamoci che i pozzi petroliferi libici sono fra i più ricchi del mondo e questo spiega perché la Turchia stia facendo la voce grossa e firmi accordi di sfruttamento delle risorse naturali con una delle parti in causa, quella che sta rifornendo di armi.
Ankara, inoltre, scorta con la propria marina militare i cargo che trasportano gli armamenti destinati ai propri alleati entrando così a gamba tesa sulla missione ‘Irini’ dell’Unione europea che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto fermare i trafficanti d’armi verso la Libia, ma che, di fatto, è l’ennesimo fallimento di Bruxelles in politica internazionale. È di qualche giorno fa la notizia che a fine maggio la fregata greca Spetsai, sotto comando italiano, ha incrociato nel golfo della Sirte il cargo Cirkin battente bandiera della Tanzania ma che era partito dalla Turchia. Dopo essersi accertati che la nave era diretta Tripoli, l’Unità greca ha preso contatto con per chiedere informazioni su carico e destinazione, ma la risposta è arrivata da una nave militare turca su frequenze Nato. A quel punto il comandante dello Spetsai ha desistito, ma il livello di allerta sul confine greco-turco è salito a 4 su 5.
Questo non è il primo incidente che vede coinvolta la marina turca, ce ne sono stati diversi come ad esempio quello del 2018 quando la nave dell’Eni Saipem 12000 (una piattaforma mobile), dovette interrompere il viaggio di trasferimento verso una nuova zona di perforazione perché bloccata da alcune navi militari turche, e quello che nel dicembre del 2019 vide protagonista una nave da ricerca israeliana, la Bat Galim, che fu bloccata dai turchi mentre svolgeva attività nelle acque di Ciprocon il permesso del governo di Nicosia.
Considerando che quelle acque non sono di competenza della flotta turca, si trattò di una mossa avventata. La Bat Galim tornò al porto di Haifa e, dopo aver fatto approvvigionamento, si diresse nuovamente verso Cipro, questa volta scortata da due unità della marina israeliana, e portò a termine il lavoro che le era stato assegnato. Erdogan fa la voce grossa e la Grecia, almeno per il momento, usa prudenza nonostante la questione di Cipro, ferita ancora aperta e mai stata digerita da Atene, che è tornata prepotentemente di attualità dopo la scoperta dei pozzi di gas naturale.
La stessa cosa non si può dire per l’Egitto che, sicuramente stanco dei disordini a ridosso del suo confine a nord e probabilmente spalleggiato da chi vuole fermare l’espansionismo turco nel Mediterraneo, sta posizionando le sue truppe e, vedendo foto e filmati che arrivano dalla zona, si capisce che si tratta di una delle più importanti manovre militari dalla guerra contro Israele del 1973.
Mentre le truppe si stavano muovendo e prendevano posizione a ridosso del confine libico, il presidente Al Sisi ha convocato sia il generale Muhammad Zaki, comandante delle forze armate, che il ministro della Difesa, e anche se non sono state fornite le ragioni di queste consultazioni è chiaro che Al Sisi sta preparando i leader militari e della sicurezza a ogni possibile scenario.
Il mondo ancora una volta è sull’orlo di una guerra, una guerra che sarebbe combattuta non molto lontano dall’Italia, una guerra che potrebbe infiammare il Mediterraneo, e quello che lascia basiti è che queste notizie non siano riportate al grande pubblico con l’importanza che meritano.
Michael Sfaradi, 13 giugno 2020