La Banca centrale europea sta per perdere il controllo del mercato. Aveva previsto un calo dell’inflazione già a partire da gennaio ma è stata smentita dai numeri che hanno registrato aumenti dei prezzi in tutti i paesi dell’Euro area.
L’impressionante +5,1% ha messo in allarme tutti i desk di negoziazione delle banche dove ormai la previsione del 28 settembre della Bce di un’inflazione al 1,5% entro il 2023 viene considerata poco più che una barzelletta. Cristine Lagarde è dovuta correre ai ripari ieri dicendo che “analizzeremo attentamente l’inflazione e prenderemo le misure necessarie per assicurare la stabilità dei prezzi, le nostre misure che prenderemo al momento opportuno dipendendo dai dati saranno graduali”.
Tradotto in italiano, siamo nella cacca e speriamo di cavarcela, non possiamo cambiare idea troppo rapidamente altrimenti perderemmo la faccia ma fra marzo e giugno potremmo smettere di comprare titoli di stato e persino alzare i tassi.
Inutile dire che sul mercato tutti si sono affrettati a vendere quello che potevano ma la scarsità acquirenti ha spinto il BTP decennale ad un rendimento superiore all’1.60%.
La cosa peggiore del discorso della Lagarde è che lascia poche speranze agli operatori, le proiezioni d’ inflazione di tutte le banche d’investimento già da tempo erano superiori a quelle della Bce, i venditori erano frenati solo dalla retorica super convinta dei banchieri centrali che instillavano il dubbio negli operatori. Da ieri i dubbi sono fugati, l’inflazione c’è è persistente e c’è una grande probabilità che costringa la Banca Centrale a cambiare politica monetaria.
È partita un’onda lunga di vendite che potrebbe alzare di molto il costo del debito italiano a prescindere dallo spread. È l’onda di ritorno del “whatever it takes” che potrebbe spazzare via velocemente ogni politica espansiva di bilancio, farci tornare in piena austerità sotto la guida Mario Draghi, colui il quale aveva dato il via alle rotative di stampa del denaro al momento giusto ma probabilmente esagerando negli anni successivi.
La credibilità personale di Draghi potrà forse contenere lo spread ma non l’inflazione, per la prima volta dovrà intestarsi in prima persona politiche restrittive, spiegare alla popolazione che abbiamo vissuto per 10 anni in una bolla che lui stesso aveva contribuito a gonfiare e che ora deve esplodere.
Da ieri siamo entrati in una nuova era, salvo imprevisti tipo una guerra in Ucraina o eventi catastroficamente recessivi, il denaro sarà più caro lo stato sociale meno generoso e le tasse più vessatorie. Unico vantaggio si tornerà a parlare di problemi concreti non più delle mascherine della repubblica del Draghistan.
Antonio Rizzo, 4 febbraio 2022