Il modus operandi del puritanesimo contemporaneo è più che semplice, triviale: fissati alcuni dogmi, ne conseguono dei tabù, i primi da osservare come atti di fede, i secondi da non questionare mai, pena il fragore di altisonanti trombe del giudizio e della pubblica gogna. A ciò si accompagna una sorta di pigrizia della ragione, che finisce per disconoscere ogni argomento, anche se perfettamente logico, che smentisca (o anche confuti in parte) quei dettami accolti in blocco e ciecamente dalle nuove anime belle.
Ma niente paura. A farsi spazio tra gli adepti del politicamente corretto ci pensa Walter Block: Difendere l’indifendibile (Liberilibri) è una bibbia libertaria che mantiene vivo il pensiero, proteggendolo dal pericolo del torpore tipico di quelle coscienze che lasciano altre pensare per loro. Difendere l’indifendibile è un testo agile e magnetico. Block organizza l’indifendibile in otto macroaree (sesso, salute, libertà di parola, illegalità, finanza, affari e commercio, ecologia e lavoro), per ciascuna delle quali seleziona diverse figure tipicamente biasimate, tra cui la prostituta, il tossicodipendente, il porco maschilista, il mediatore, il ricattatore, il bagarino, il pubblicitario, lo sporco capitalista, il profittatore. L’obiettivo? Difendere la legittimità del loro operato e talvolta, addirittura, la loro utilità all’interno della società.
A dimostrazione della semplicità del compito, la difesa dell’indifendibile si baserà tutta sulla medesima premessa: è illegittimo intraprendere aggressioni contro dei non-aggressori, con la precisazione che per “aggressione” si intende esclusivamente l’uso della violenza e non, in senso lato, lo spirito polemico, la competitività, l’antagonismo, etc. Scrive Block: «I soggetti trattati in questo libro, per quanto vituperati dai media ed istintivamente condannati quasi da tutti, non violano i diritti di nessuno, e dunque non dovrebbero essere sottoposti a sanzioni giudiziarie. È mia convinzione che essi siano dei capri espiatori – sono visibili, sono attaccabili, ma devono essere difesi perché la giustizia prevalga.»
Con una logicità disarmante, Block squaderna le contraddizioni interne di presunte verità indiscutibili; così, ad esempio, la molestia verbale non è paragonabile alla violenza sessuale, il mediatore è un alleato del consumatore, la legge sul salario minimo non favorisce l’occupazione, bensì la disoccupazione, la pubblicità diviene perversa nella misura in cui viene regolamentata, il bagarino ha il merito di redistribuire equamente delle risorse limitate.
Oltre alla vocazione libertaria, quella da economista percorre l’intera opera, esplicitandosi nella difesa del libero mercato, della proprietà e dell’impresa private; questo non solo perché la loro regolazione da parte dello Stato è a tutti gli effetti quell’azione aggressiva e coercitiva nei confronti di un non-aggressore di cui sopra, ma anche perché nell’ambito dell’impresa privata incrementare la sicurezza e disincentivare condotte spiacevoli diverrebbe un interesse, che sarebbe, in quanto tale, perseguito in maniera più immediata e libera di quanto non lo sia sotto il sistema statale del divieto assoluto.
Una precisazione si rende però necessaria: come l’autore stesso ha premura di sottolineare nella postfazione, il libertarismo è una filosofia politica e riguarda esclusivamente l’uso della forza. Non implica, invece, il giudizio morale. Il libertario non è necessariamente un libertino. Block si ritiene un conservatore culturale e in quanto tale crede che “le perversioni sociali e sessuali” siano immorali, degradanti, peccaminose e vadano evitate del tutto.
Proprio questa presa di posizione è ciò che fa di Difendere l’indifendibile un esercizio di onestà intellettuale senza pari, poiché insegna come tenere lontane il sentimentalismo e la suscettibilità dalla ragione, restituendo ad essa quella facoltà di discernimento ad oggi assopita nei discorsi di questo nuovo progressismo repressivo ma anche un po’ naïf.