La cancel culture riscrive pure Agatha Christie

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Anche Agatha Christie è finita nel buco nero della “cancel culture” (a proposito: speriamo si possa ancora definire così questo corpo celeste!). La celeberrima scrittrice britannica fu insignita del titolo di “Dame” (il corrispondente di “Sir”) dalla regina Elisabetta II nel 1971 per il suo contributo alla letteratura. Il Guinness World Record la menziona come la scrittrice che ha venduto di più in tutti i tempi, con oltre due miliardi di copie. Malgrado questo palmarès unico, anche i libri della grande autrice inglese, come riporta il Guardian, citando a sua volta il Telegraph, sono stati oggetto di aggiustamenti per correggere o rimuovere parole ed espressioni potenzialmente offensive.

Le storie di Poirot e Miss Marple scritte tra il 1920 e il 1976 sono state modificate nelle nuove edizioni pubblicate da HarperCollins, per non offendere la sensibilità di alcuni lettori, specialmente quando l’autrice descriveva personaggi incontrati dai suoi protagonisti al di fuori del Regno Unito. Cosi queste operazioni di taglio e cucito, o meglio di discutibile “ricamo”, sui romanzi della Christie si vanno ad aggiungere a quelle già effettuate sulle opere di Roald Dahl, autore di noti racconti per bambini, e Ian Fleming, il creatore di 007.

Le censure riguardano soprattutto termini che si riferiscono all’etnia, come il descrivere un personaggio nero, ebreo o gitano, o un busto femminile come fatto di “marmo nero” o il temperamento “indiano” di un giudice. La parola “orientale” o quella che inizia con “N” per riferirsi ad una persona di colore sono state rimosse. L’aggettivo “nativo”, per indicare le popolazioni autoctone americane, è stato rimpiazzato con “locale”. Il Telegraph cita altri esempi. Indicativo è quello tratto dal romanzo Assassinio sul Nilo del 1937 in cui il personaggio di Mrs Allerton protesta perché un gruppo di bambini la sta infastidendo, dicendo che “tornano e fissano, fissano, e i loro occhi sono semplicemente disgustosi, così come i loro nasi, e non credo che mi piacciano veramente i bambini”.

Nella edizione riveduta e corretta le invettive della signora vengono edulcorate in “tornano e fissano, fissano. E non credo che mi piacciano veramente i bambini”. Il “sensitivity correct” si spinge fin nei meandri più reconditi dei testi originali. Nella nuova edizione di Miss Marple ai Caraibi del 1964, il commento della protagonista detective su un cameriere dell’hotel “ha dei bei denti cosi bianchi” è stato completamento omesso. Il famoso romanzo del 1939 And then there were none originariamente era stato pubblicato con il titolo Ten little Indians (Dieci piccolo indiani), titolo che però è stato modificato nel 1977 perché ritenuto razzista. Alcune case editrici tipo la Puffin, ci ricorda il Corriere della Sera, pubblicheranno una “classic collection” priva di correzioni o interventi postumi sui testi originali.

La storia, le opere d’arte del passato, la letteratura ci danno la figura e la rappresentazione dei tempi che furono, con i loro lati positivi e naturalmente anche negativi. Perché allora volerle modificare artificiosamente perché trovino l’approvazione dei giorni nostri? Bisognerà allora anche correggere i fatti storici del passato perché non “politically correct”? Sarebbe sicuramente più umile e onesto lasciare il passato intatto ed avere l’intelligenza di imparare da esso per migliorare il nostro presente e soprattutto il futuro.

Andrea Gebbia, 29 marzo 2023

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