Nessun aumento delle attuali aliquote Iva del 10% e del 22%, ma una rimodulazione delle vigenti aliquote applicabili a taluni beni e servizi che non determini aggravio alcuno in termini di prelievo complessivo (né quindi, coperture finanziarie da aumenti Iva, coerentemente alla Nota di Aggiornamento al Def che non le prevede), ma consenta di reinvestire il maggior gettito delle rimodulazioni al rialzo in rimodulazioni al ribasso e nel finanziamento di meccanismi di incentivazione all’utilizzo della moneta elettronica.
Le parole usate in questi giorni dal Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, sono molto chiare e, con un po’ di dimestichezza con i numeri aggregati delle dichiarazioni IVA, consentono di avere un quadro abbastanza preciso di ciò in cui potrebbero tradursi sul piano pratico queste linee d’azione in astratto condivisibili.
Numeri alla mano, pare infatti indubbio che la rimodulazione che più “tenterebbe” chiunque si cimentasse in questo scivoloso esercizio sia quella della aliquota Iva applicata sulle prestazioni dei servizi di alloggio e ristorazione, attualmente fissata al 10%. Le operazioni imponibili con Iva al 10% del settore alberghiero e della ristorazione ammontano infatti a ben 67,6 miliardi di euro.
Volumi maggiori di operazioni imponibili con Iva al 10% sono rinvenibili solo nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio (155,1 miliardi) e nel settore delle attività manifatturiere (71,1 miliardi), ma sono il frutto della somma di numerose voci di beni e servizi differenti, laddove invece i 67,6 miliardi delle attività di ristorazione e di alloggio sono interamente concentrate nei numeri 120) e 121) della Tabella A Parte III del DPR 633/72 che elenca tutte le tipologie di beni e servizi che rientrano nell’aliquota ridotta del 10%.
Con due semplici tratti di penna, il Governo “trasferirebbe” questi servizi nell’ambito di applicazione dell’aliquota ordinaria del 22% e l’IVA applicata sui medesimi passerebbe da 6,7 miliardi (il 10% del valore delle operazioni imponibili del settore) a 14,9 miliardi (il 22%), con un incremento di IVA applicata pari a 8,2 miliardi.
Se si considera che il 76% delle operazioni viene effettuato nei confronti di consumatori finali che non possono detrarsi l’IVA, questa rimodulazione determinerebbe un incremento di gettito pari come minimo a 6,2 miliardi che potrebbe però verosimilmente salire sino almeno a 7/7,5 miliardi, tenuto conto che l’IVA applicata su questi servizi risulta oggettivamente indetraibile anche per quel 24% di clientela business, in ragione di quanto previsto dall’art. 19-bis1 del DPR 633/72.
Con una simile dotazione, vi sarebbe tutto lo spazio finanziario per rimodulare in positivo, passando dall’aliquota del 10% all’aliquota del 5%, l’Ivaapplicata sui servizi di fornitura alle abitazioni private di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (dato un volume di operazioni imponibili di 31,2 miliardi, il costo per l’Erario di questa rimodulazione sarebbe di circa 1,6 miliardi) e sui servizi di fornitura di acqua, reti fognarie e gestione rifiuti (dato un volume di operazioni imponibili di 12,6 miliardi, il costo per l’Erario di questa rimodulazione sarebbe di circa 0,6 miliardi).
Resterebbero anzi risorse sufficienti a disporre altre rimodulazioni migliorative di minore entità economica, ma di elevato contenuto politico (ad esempio, gli acquisti di pannolini) e 4-5 miliardi da investire in meccanismi di cashback per chi acquista determinati beni o servizi con moneta elettronica.
Simili scelte, per quanto possano apparire affascinanti quando vengono valutate solo sulla base di tabulati di dati economici e fiscali aggregati, vanno tuttavia meditate con notevole attenzione perché è difficile ipotizzare che uno shock Iva dal 10% al 22% sui servizi di ristorazione e alloggio potrebbe essere assorbito senza traumi, in termini di domanda interna e di competitività estera, dall’industria turistica italiana.
Enrico Zanetti, 9 ottobre 2019