A Napoli si dice che il rischio che corre un marito tradito da una donna senza scrupoli è di finire “cornuto e mazziato”. In modo meno volgare, traducendo in italiano ed estendendo l’espressione oltre i rapporti coniugali, potremmo dire che la peggiore esperienza che si possa fare è quando “al danno si unisce la beffa”. È un po’ quello che rischia di succedere all’Europa e all’Occidente con il Covid-19: non solo abbiamo dovuto fronteggiare un virus assassino che ci ha messo in ginocchio e che quasi sicuramente non sarebbe mai arrivato a noi se la Cina fosse stata trasparente e avesse subito interrotto i contatti con gli altri Paesi, ma ora in un clamoroso ribaltamento delle parti dobbiamo pure sentirci messi da Pechino sul banco degli imputati.
Secondo quanto riportato a grandi titoli dalla stampa cinese, e subito ripreso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che è una vera e propria cassa di risonanza della politica del regime comunista, uno studio realizzato a tempo di record da scienziati locali mostrerebbe che il focolaio di Pechino di questi giorni sarebbe un “coronovarius di ceppo europeo”, più vecchio di quello che circola attualmente nel nostro continente. Cioè, alla fine, saremmo stati noi gli untori! Ora, a parte la spregiudicatezza morale di tutta l’operazione, qui conviene sottolineare quattro aspetti della vicenda.
- La forza della macchina propagandistica cinese che non solo viene messa in funzione per fini di controllo e consenso interni, come sempre accade nei regimi dittatoriali, ma anche per combattere quella “terza guerra mondiale” che l’Impero celeste conta di vincere non con la forza delle armi tradizionali ma con quella della manipolazione delle idee, della persuasione suadente, del possesso dei dati e delle più avanzate tecnologie cibernetiche. In sostanza, mostrando un volto amico e tranquillizzante agli altri popoli e Stati.
- Questa strategia, che ora si è trasferita su un terreno ove sembrava che non ci fosse partita tanto evidenti sono le responsabilità cinesi nella diffusione planetaria del virus, era già operativa in verità da qualche anno a questa parte e usava come strumenti di azione, da una parte, la cooperazione commerciale, e, dall’altra, quella intellettuale. Più che di cooperazione, tuttavia, per la Cina si è sempre trattato di penetrazione in funzione egemica nei nostri mercati, compreso appunto quello delle idee come dimostrano le forti partnership messe in atto con le Università occidentali ove a un certo punto c’è stata una vera e propria corsa all’accordo coi cinesi.
- La strategia cinese ha funzionato alla grande perché nelle élite occidentali c’è stato il predominio negli ultimi anni di ideologie globaliste, multiculturaliste e multilateraliste, le quali ancora oggi costituiscono il terreno ideale per le scorribande propagandistiche del regime di Xi Jinping. Si pensi solo alla posizione ambigua che ha l’Unione Europea nei confronti del regime cinese o alla difesa ad oltranza dei cinesi da parte del mondo intellettuale accademico (che invece non ne perdona una a Donald Trump). Ciò ha poi coinciso con la totale messa tra parentesi da parte nostra di alcuni caratteri peculiari del sistema cinese in completa antitesi coi nostri valori: la compenetrazione del potere politico, economico, militare e persino religioso; il controllo di Stato sull’informazione, e quindi la censura; la persecuzione dei dissidenti. Fino ad un certo momento, era d’uso, da parte delle autorità occidentali in visita in Cina, fare un cenno formale, nelle dichiarazioni ufficiali dopo gli incontri, alla necessità del paese orientale di fare progressi anche sul terreno del rispetto dei “diritti umani” e “civili”. Così come, da parte della Santa Sede, invocare la libertà religiosa e di culto per i cristiani. Ad un certo punto, in nome della realpolitik, più nulla: per i leader occidentali solo “cordialità e amicizia”; e per il Vaticano la firma di accordi di totale sottomissione.