“Per ragioni note a tutti, d’ora in poi il nostro sito non potrà più servire fratelli e sorelle in Cristo. Grazie a tutti per la vostra compagnia e supporto negli ultimi 21 anni!”, così recitava fino a poche ore fa, l’ultimo post di un popolare sito cristiano cinese, Jona Home, prima di sparire definitivamente nel nulla. Il regime cinese l’ha dichiarato illegale.
La nuova legge sulla propaganda religiosa
Ma non è niente di strano, o meglio, è tutto in regola con la legge nuova di zecca che il comunismo di Xi Jinping ha sfornato da poche settimane nel contesto della repressione al cristianesimo nel cyberspazio. Senza autorizzazione governativa in Cina, infatti, dal primo marzo non è più possibile scrivere e pubblicare immagini, video o audio che afferiscano alla sfera religiosa. Lo aveva annunciato a dicembre scorso, l’Amministrazione statale degli affari religiosi. L’organo del Consiglio di Stato cinese – il governo centrale – aveva reso noto di aver approvato il 3 dicembre le “ Misure amministrative per i servizi d’informazione religiosa su internet”. Misure che seguono le denunce del presidente Xi Jinping secondo il quale i divieti di utilizzare internet per pubblicizzare la religione sono troppo facilmente elusi, e si dovrebbe fare di più per assicurarsi che internet e i social network non siano usati come strumenti per la “propaganda religiosa”.
I timori cinesi sul cristianesimo
Durante i lavori di una conferenza religiosa nazionale tenutasi a inizio dicembre scorso, il presidente cinese e segretario generale del Partito comunista aveva annunciato il proposito di migliorare il controllo “democratico” sulle religioni. Tradotto dal cinese: nuova stretta sulla libertà di culto.
Il cristianesimo è considerato, da sempre, ma oggi ancor di più, pericolosissimo per la tenuta del Paese: il concetto di persona e i principi di giustizia e diritti umani, per esempio, che il comunismo ignora, sono considerati eversivi, paragonati al terrorismo.
Omelie, preghiere o catechesi sono da sempre controllate in Cina, ma oggi ancor di più. I loro contenuti devono essere sicinizzati – l’assorbimento delle religioni all’ideologia comunista – affinché garantiscano esclusivamente la promozione dei valori del governo, e non siano intesi come strumenti di proselitismo. Quanto alle università e i college religiosi possono diffondere contenuti via internet esclusivamente ai propri studenti. Qualsiasi tentativo di catechizzare i minori o di “indurre i minori a credere nelle religione” comporta la revoca della licenza. E la conseguente chiusura dei battenti.
Senza aver ottenuto una specifica licenza dal governo, infatti, è severamente vietato condividere immagini o commenti su “cerimonie religiose come adorazione di Dio, bruciare incenso, ordinazioni sacerdotali, messe, battesimi e dottrina”.
La legge impone una “licenza per l’informazione religiosa su internet” per qualsiasi gruppo religioso e afferma che solo le organizzazioni “giuridicamente stabilite” possono ottenerla.
La vita religiosa in Cina
Lo Stato comunista cinese odierno riconosce ufficialmente cinque religioni gestite attraverso istituzioni burocratiche centralizzate: il buddhismo, il taoismo, il protestantesimo, il cattolicesimo e l’islam. Ad essere è garantita costituzionalmente la libertà di culto a patto, però, che i fedeli siano iscritti a una delle associazioni controllate dallo Stato. Si tratta di un organismo intermedio tra il governo e la società e fa da filtro. In questo modo, infatti, il Partito comunista cinese plasma i precetti religiosi alla linea politica del Paese. Ogni credo, dall’islam al cristianesimo, risponde dunque alla propria associazione e non ai vertici delle rispettive autorità spirituali. E quindi esistono l’Associazione buddista cinese, l’Associazione taoista cinese, l’Associazione islamica cinese, il Movimento patriottico protestante delle tre autonomie e l’Associazione cattolica patriottica cinese.
Le due Chiese in Cina
I cattolici cinesi, per esempio, sono divisi in due comunità: una sotterranea, fedele a Roma e non riconosciuta, e una ufficiale, “patriottica” composta da fedeli, preti e vescovi che, professando la propria fede cattolica, accettano il controllo governativo. L’Associazione, formata più da laici che da religiosi, decide le nomine dei vescovi, “consiglia” loro le nomine dei parroci, sceglie gli insegnanti e l’insegnamento dei seminari. La Chiesa clandestina, dall’altro lato, subisce invece solo persecuzioni: suore e preti sono incarcerati, i fedeli intimoriti, vescovi ridotti al silenzio. E ovviamente per non loro non ci sono luoghi di culto. Uno dei casi più esemplari è sicuramente la vicenda del vescovo di Baoding, Giacomo Su Zhimin, sequestrato dalla polizia nel 1997, senza un perché e senza processo. Nessuno conosce, ancora oggi, neanche il luogo di detenzione. La sua diocesi è stata da allora, però, immediatamente occupata da un vescovo nominato dal governo.