Per colpa nostra, per responsabilità di un Occidente che ha smarrito la bussola, e con la collaborazione attiva di uno squadrone di utili idioti posizionati strategicamente (tra istituzioni e media, cioè tra ambito decisionale e manipolazione dell’opinione pubblica), la Cina sta stravincendo la guerra e pure il dopoguerra del Coronavirus.
Non solo perché ci ha infettato, colposamente o dolosamente, infliggendo all’economia globale un colpo da guerra mondiale. Ma perché, oltre al virus, ha esportato con facilità altrettanto disarmante la logica autoritaria delle chiusure a oltranza, della compressione della libertà personale e di impresa, dei cittadini ridotti a sudditi chiamati non a scrutinare l’azione dei governi ma a obbedire agli ordini senza fiatare. Così, un armamentario da dittatura è stato trasferito nelle nostre democrazie, travolgendo stato di diritto, garanzie, libertà: tutto ciò che amavamo descrivere come connotati ineliminabili della nostra identità, e che invece – di tutta evidenza – alcuni ripetevano solo come uno scioglilingua, senza crederci neanche un po’.
Toglie il respiro, in questa prospettiva, il fatto che voci autorevoli – nei palazzi della politica e nelle redazioni – adesso amino trastullarsi col mantra della presunta superiorità dei sistemi basati sulla “comunità” e sul “sentire collettivo” contro i presunti “vizi dell’individualismo”.
Queste sortite non vanno sottovalutate. Tradiscono non solo radici illiberali e un conto drammaticamente aperto (per comunisti e cattolici di sinistra) contro la libertà e il mercato, ma denunciano pure una drammatica incomprensione di quello che sarà il cuore della sfida dei prossimi decenni. La contesa tra Washington e Pechino non è solo una questione di competizione economica o tecnologica, ma pone una più radicale alternativa di civiltà. Non si tratta di essere sinofobi o di promuovere atteggiamenti inutilmente aggressivi, ma di capire che per il regime cinese il valore della vita ha un peso diverso rispetto ai nostri sistemi occidentali, per quanti difetti essi abbiano.
Molte cose non funzionano nelle nostre caotiche e scombiccherate democrazie, certo: eppure, qui, è ben difficile che i governi possano pensare di sottrarsi a qualunque controllo democratico, a qualsiasi verifica. Lì, invece, è ancora la regola: e a quella regola tutto può essere sacrificato, dalle libertà politiche a quelle religiose, fino alla vita di chiunque dissenta. E se per un regime è così scontato schiacciare le vite, i diritti e le libertà dei propri connazionali, non è difficile immaginare che opinione quello stesso regime abbia delle vite, dei diritti e delle libertà dei cittadini di ogni altro stato del mondo.
Ogni discussione sulla Cina e sulle sfide geopolitiche a cui siamo chiamati che prescinda da questa radicale diversità è un inganno, un errore destinato a produrre prima illusioni e poi tragiche disillusioni. Sarà bene che questo dibattito cominci.
Daniele Capezzone, 9 novembre 2020