Oggi non posso certo ignorare la polemica che ha riguardato Patrick Zaki. L’eroe della sinistra ha scritto sui social che gli israeliani sono “una specie demoniaca” e poi si è dovuto scusare dando la colpa al suo social media manager. Lo scandalo non è tanto la frase contro gli ebrei, ormai all’ordine del giorno, ma il fatto che uno come Zaki abbia un social media manager.
Insomma è come se io giocassi a tennis come Nadal. Cioè, se Zaki ha un assistente che si occupa dei suoi social, allora io posso dire di giocare come Nadal. A sottolineare questa follia ci ha pensato, in modo molto più intelligente di me, Assia Neumann Dayan sulla Stampa. Dayan ci regala poi un’altra perla davvero interessante. Il Wall Street Journal ha fatto una ricerca chiedendo a 250 studenti: siete d’accordo con la frase “dal fiume al mare”? Il 48% ha risposto ovviamente “sì”, sposando questo motto tremendo, simbolo della distruzione di Israele. Ma la cosa davvero impressionante è che alle successive domande “qual è il mare?” e “qual è il fiume?” nessuno ha saputo rispondere. Molti di loro pensano addirittura che Arafat fosse il presidente di Israele.
Il punto fondamentale, come scrive la Dayan, è che questi filo-pal dei miei stivali parlano senza sapere niente, per il solo piacere di dare fiato alle trombe, sono dei poveracci vittime della propaganda dei terroristi. Non mi stupisce questa cosa, chi ha vissuto un po’ l’Italia degli anni ’70 si ricorderà bene la follia filo-terrorista di quella stagione.
Dalla Zuppa di Porro dell’8 agosto 2024
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