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La Commissione contro l’Odio mette a rischio la libertà

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Non sarà che con questa storia che il termine liberale sia fuori moda, ci prepariamo a perdere poco alla volta le nostre libertà essenziali? La cinesizzazione dell’Occidente è forse già alle porte se un deputato può alzarsi la mattina e proporre una “Commissione contro l’Odio” senza suscitare lo sdegno e la riprovazione della “libera stampa” (come si diceva un tempo) e della pubblica opinione. E anzi riesce pure a farla passare ai voti delegittimando moralmente chi si oppone ad essa perché o vi vede la bieca strumentalizzazione politica (che si serve in questa caso anche di una rispettabilissima vittima della discriminazione razziale) o semplicemente perché ha ancora cultura e senso liberali.

A dirla tutta, lo hate speech, soprattutto sui social, a chi scrive non piace: da vecchio (poco alla volta anche in senso anagrafico) liberale, egli crede che l’ideale regolativo dovrebbe essere sempre quello del separare le idee, su cui si può e si deve anche sparare a zero se del caso, e le persone, le quali meritano sempre e comunque rispetto indifferentemente. Non solo, sempre chi scrive considera lo hate speech stupido oltre che errato: se tu vomiti fango in continuazione, anche su aspetti irrilevanti delle questioni umane e politiche, quando poi c’è ragione di sdegnarsi più nessuno ti prenderà sul serio perché hai perso credibilità! E poi, da britannico-napoletano come formazione quale sono, penso che tante questioni spiacevoli si sistemano molto meglio con il sottile filo dell’ironia che non con il cerbero abbaiare.

Ma detto questo, una cosa sono i gusti personali un’altra le regole che devono valere erga omnes e che contraddistinguono una civiltà liberale. Questa non può togliere o dare la parola a seconda del rispetto o no di regole formali o sostanziali stabilite da una “commissione di salute pubblica”, per il semplice fatto che ove un’opinione finisce di essere un’opinione e diventa un insulto già lo stabilisce il codice penale con il reato di “ingiuria” e che, se lo si fa stabilire dalla politica, si sa dove si inizia e non si sa, come la storia insegna,  dove si va a finire. O meglio lo si sa: in una società illiberale e regolata che, in nome di “buone maniere” arbitrariamente stabilite, censura le opinioni non conformi e disciplina e irrigimenta la vita sociale. La quale per svolgersi secondo le pratiche di libertà, e in questo modo progredire, ha bisogno di un confronto non preconcetto, e anche conflittuale, fra idee e opinioni diverse.

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