La Crusca boccia la neolingua della Murgia

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Già che la Crusca si sia dovuta prendere la briga di rispondere a cotanta sciocchezza dà il senso del baratro in cui siamo ormai caduti. Ma almeno lo storico istituto fiorentino, culla della perfezione della lingua italiana, ha messo una volta per tutte un punto fermo sulla questione: usare l’asterisco (o la schwa) al posto delle desinenze maschili e femminili è una boiata pazzesca. Tradotto: Michela Murgia, e i suoi seguaci della neolingua, hanno preso una sonora cantonata.

Usare l’asterisco?

L’Accademia nelle scorse settimane è stata sommersa di quesiti sull’uso “dell’asterisco, dello schwa o di altri segni che opacizzano’ le desinenze maschili e femminili”. Ma anche domande sulla possibilità di usare i pronomi “neutri”. E su come riferirsi ai transessuali. Bene. In un lungo, lunghissimo articolo pubblicato sul sito, la Crusca abbatte la mannaia sulla possibilità di stranezze linguistiche per rispettare le “persone non binarie”, abbattere il patriarcato o similari. Partiamo dall’asterisco. Scrivere tutt* anziché tutti e tutte, come purtroppo sempre più spesso capita di vedere, per l’Accademia è accettabile solo se lo si fa “in comunicazioni scritte o trasmesse che sono destinate unicamente alla lettura silenziosa e che hanno carattere privato, professionale o sindacale all’interno di gruppi omogenei (spesso anche sul piano ideologico)”. Per tutto il resto, c’è l’italiano normale. “A nostro parere – scrive la Crusca – l’asterisco non è utilizzabile in testi di legge, avvisi o comunicazioni pubbliche, dove potrebbe causare sconcerto e incomprensione in molte fasce di utenti, né, tanto meno, in testi che prevedono una lettura ad alta voce”. Anche perché logica dice: come riproduci foneticamente quel simbolo lì? Impossibile.

Bocciata la schwa

Tutto sommato basterebbe usare il “maschile inclusivo” (tutti) come s’è sempre fatto da Dante a oggi. Invece Murgia&co. nell’ultimo periodo si sono fatti venire l’idea di sostituire le desinenze di genere con la schwa, la “e” rovesciata presente in alcune lingue e dialetti. La scrittrice femminista la utilizzò addirittura in un articolo pubblicato sulla Stampa, complicando la lettura ai poveri malcapitati acquirenti. Ed è già stata adottata anche da una casa editrice e da un comune in Emilia Romagna. “A nostro parere – scrive Paolo D’Achille – si tratta di una proposta ancora meno praticabile rispetto all’asterisco, anche lasciando da parte le ulteriori difficoltà di lettura che creerebbe nei casi di dislessia”. I motivi? Primo, noi comuni mortali non siamo abituati a vedere la “e” rovesciata (ə). Secondo, metterla per iscritto a mano diventerebbe un incubo. E terzo si verrebbero a creare “incongrue grafie come sostenitorə e come fortə”. In sintesi: “Non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo”.

La lingua piegata all’ideologia

Anche perché il rischio è di violentare la lingua in ossequio ai dettami politicamente corretti. “È senz’altro giusto, e anzi lodevole, quando parliamo o scriviamo, prestare attenzione alle scelte linguistiche relative al genere, evitando ogni forma di sessismo linguistico – scrive la Crusca – Ma non dobbiamo cercare o pretendere di forzare la lingua (…) al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire”. L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile. Tutto il resto sono invenzioni di alcuni. Punto. “Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale”. Se proprio si vuol essere ai passo coi tempi, e dare adito alle proteste di chi vede nella lingua “prevaricazioni del maschile” (avete presente il dibattito su ministra?), allora basterebbe fare “un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato”. Senza inventarsi stranezze ideologiche.

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