Sembra che per i nostri dirimpettai spagnoli non ci sia pace. Ero andato in Spagna l’anno dopo la morte del Caudillo: mi ero rifiutato di farlo prima non volendo mettere piede in un paese dominato da una dittatura militare. Debbo dire che le città visitate mi avevano sorpreso: mi aspettavo una Calabria iberica e, invece, ho trovato una società evoluta colta e ordinata. A Madrid avevo visto una libreria fantastica: cinque piani, suddivisi tra scienze e lettere, che mi avevano letteralmente euforizzato. Speriamo, avevo pensato, che a nessuno salti in mente di giudicare un regime politico mettendo a confronto ciò che ha lasciato con ciò che ha trovato, giacché un criterio del genere promuoverebbe senz’altro il franchismo.
In realtà, Francisco Franco ha tenuto la Spagna sotto una campana di vetro, soffocando ogni dissenso politico, ma, al riparo dalle tempeste della storia, il mercato e la proprietà privata, che non sono sufficienti per fare una “società aperta” ma ne sono condizioni necessarie, hanno operato il miracolo: progresso civile e benessere economico. Soprattutto, però, mi ero compiaciuto per la saggezza dei politici spagnoli che, tornata finalmente la democrazia – anche i dittatori muoiono, non tutti nel loro letto – avevano adottato, nei confronti del passato, un atteggiamento ispirato a profonda saggezza: “pietà per i carnefici” di entrambe le parti e sguardo al futuro.
In un equilibrato articolo rievocativo della tragedia spagnola, 1936- 2016: ottant’anni fa la guerra civile (Reset 30 luglio 2016) Fabrizio Federici, ha scritto: «se Franco resta, per la storia, l’autore d’una repressione spietata e prolungata al di là d’ogni ragione |…| almeno il Caudillo pose fine a una guerra civile che in Spagna, in realtà, andava avanti, con periodici massacri, da centodieci anni, dal tempo dell’intervento della Santa Alleanza contro i rivoluzionari liberali ( 1823), e delle sanguinose lotte civili al tempo della Prima Repubblica (1873-75). |…| la maggioranza degli spagnoli, per più generazioni, pur non potendo riconoscersi nel regime, tutto Chiesa-censura-prigione-repressione sessuale, del Caudillo, ha tenuto conto di tutto questo, e dell’aver potuto evitare la tragedia della Seconda guerra mondiale». Era proprio il caso di dire: “scurdammoce o passato!”: si onorino i morti, bianchi neri e rossi, ma si depongano le armi – anche quelle verbali – riconoscendo che a nessuna famiglia politica mancano i cadaveri nell’armadio. Basta leggere, del resto, per rendersene conto, storici come Hugh Thomas o Stanley Paine o quanto ha scritto il nostro Sergio Romano sulla macelleria ispanica.
Da diversi anni, però, l’olvido è stato considerato come una colpa, le eredità del franchismo – simboli e istituzioni – sono state riguardate come una vergogna da cancellare e gli Spagnoli – la sinistra, gli indipendentisti, i repubblicani etc. – hanno ripercorso le orme di papa Stefano VI che, nei primi mesi dell’897, fece riesumare il corpo di Papa Formoso ( 891- 896) e istruire a suo carico un processo per sacrilegio per sottoporlo a un «macabro interrogatorio e quindi a esecuzione postuma dopo essere stato formalmente giudicato colpevole».
È capitato metaforicamente anche a Francisco Franco. La Corte suprema spagnola ha approvato all’unanimità la traslazione dei resti di Francisco Franco dalla Valle de los Caídos – il monumento voluto dal Caudillo, dopo la vittoria nella Guerra Civile ( 1936- 1939) per commemorarne | tutte | le vittime – al cimitero El Pardo- Mingorrubio». Il premier Pedro Sanchez ha commentato «Viviamo una grande vittoria della democrazia spagnola. La determinazione a riparare le sofferenze delle vittime di Franco ha sempre guidato l’azione del governo».
Già e le vittime della Repubblica? La violenza roja fu solo una reazione violenta ai massacri compiuti dai nazionalisti dopo l’Alzamiento? No, ricorda Payne, «gli omicidi compiuti dai rivoluzionari iniziano nell’aprile del 1931— i primi mesi della Repubblica — e continuarono da allora. Durante i primi sei mesi [ della guerra civile] gli omicidi politici erano talvolta organizzati da gruppi del governo repubblicano, altre volte no». A commetterli erano bande armate che volevano distruggere capitalismo, chiesa, militari e stato unitario. «L’assalto ai monasteri— ha scritto Sergio Romano-i massacri di monache e preti, la macabra fucilazione dei cadaveri dissotterrati nelle chiese e nei cimiteri dei conventi ebbero l’effetto di aggiungere alla guerra civile una forte connotazione religiosa».