La (dannosa) eredità del comunismo italiano

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La storia del comunismo italiano è stata una storia seria, troppo. E, a cent’anni, dalla sua nascita ufficiale, non è ancora finita. Continua, ma continua in farsa.

Quegli uomini che le dettero inizio infervorati da una fede profonda ma settaria, manichea, violenta (“la violenza è la levatrice della storia” già per Marx) hanno oggi i loro eredi in politici senza fede, cinici, attaccati al potere per il potere. È un classico per gli uomini di tutte le fedi. Come è un classico che essi non sconfessino il loro passsato e si creino nuovi idoli altrettanto pervasivi in cui far finta di credere, anche davanti alla loro coscienza.

Dal primo punto di vista, stiamo assistendo in questi giorni alla esagerata esaltazione del ruolo democratico che avrebbe svolto il Pci nel secondo dopogurra, del tutto dimentichi che quella politica “togliattiana” veniva seguita per direttive moscovite, e su basi geopolitiche sovranazionali, piuttosto che per intima convinzione (come l’atteggiamento verso i fatti di Ungheria del 1956 e di Praga nel 1968 avrebbe dimostrato ampiamente).

Dal secondo punto di vista, quella fiera dell’ipocrisia che è rappresentata dal “politicamente corretto” nostrano è sotto gli occhi di tutti ed è quotidianamente denunciata su queste pagine. La storia però non può essere giustiziera, e noi liberali dobbiamo concedere a quella comunista quello che i comunisti non concedono alla fascista. Ci fu del buono, come è sempre naturale nelle cose umane, anche in tanti comunisti o ex comunisti.

Ecco, l’eredità che il comunismo ha lasciato a tutti, anche a molti (ahimé) che militano a destra, è una visione gnostica della realtà: Bene contro Male, manicheismo, settarismo, delegittimazione morale dall’avversario. In una parola: mancanza in Italia di una condivisa sensibilità liberale.

Corrado Ocone, 21 gennaio 2021

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