Pillole Ricossiane

La differenza tra socialismo e capitalismo? Questione di gusti

Gli scritti di Sergio Ricossa, economista e liberale vero, per leggere il presente

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Un giorno Sergio Ricossa entra in aula e ci dice: “In fondo la scelta tra capitalismo e socialismo è una questione di gusti”. Silenzio in aula, sguardi smarriti per un attimo tra i giovani studenti. E poi, come al solito, aveva ragione lui.

Il capitalismo, basato sulla concorrenza di libero mercato, è creatività, innovazione e dinamismo, che si contrappongono ad una visione socialista in cui si ricerca una idilliaca condizione di stabilità, attraverso una burocratizzazione della vita volta ad assicurare assistenza e certezza (presunta) dalla nascita fino alla pensione.

In apparenza, nulla è più innocente che non gradire le sorprese, ma non volerle è chiedere che il futuro corrisponda puntualmente a un nostro progetto determinato, il che non è poco. Anzi è moltissimo. È credere che il futuro sia prevedibile e abbia, per così dire, un autore, un progettista razionale, potente, lungimirante, attendibile se non infallibile. Costui disporrà di tutta la conoscenza necessaria per raggiungere lo scopo di pianificazione”. – Sergio Ricossa, Impariamo L’economia (BUR- 1994).

Cioè un Dio in terra, come nella storia se ne sono visti tanti. Il capitalismo convive, invece, con la sorpresa: ”La creatività è sorpresa, l’innovazione è sorpresa, lo sviluppo capitalistico non imitativo è sorpresa” [Ibid].

Da una parte l’imprenditore-innovatore, dall’altra il pianificatore: “Il liberismo è favorevole al mercato di concorrenza proprio perché intende il mercato come un sistema per squilibrare di continuo l’economia, mediante proposte di nuovi processi produttivi, nuovi prodotti e nuove forme economiche. Per questo l’imprenditore liberistico non è il burocrate keynesiano o il pianificatore […] La libertà cara al liberismo è innanzitutto libertà di innovare”. Sergio Ricossa, (Elogio della cattiveria – Società Europea di Edizioni / Il Giornale – 2016).

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Il pianificatore tende però a limitare la libertà degli altri, convinto, per giunta, di conoscere quale sia il vero bene per tutti e quindi, per filantropia, finisce per concepire come giusto il costringere gli altri a seguire il suo progetto sociale ed economico.

Illustri pianificatori hanno pensato bene di affamare intere nazioni con politiche dissennate, mentre il capitalismo di mercato, con tutte le sue imperfezioni, macinava progresso: “L’era del capitalismo è la prima della storia ad avere eliminato la miseria di massa. C’è riuscita non perché aveva intenzioni migliori delle epoche precedenti, ma perché ha lasciato perdere le chiacchiere dei filantropi e dei benpensanti per applicare invece il progresso tecnologico, organizzativo e merceologico. C’è riuscita nonostante l’opposizione dei socialisti e dei comunisti e di tanti altri sedicenti benefattori dell’umanità” [Ibid].

Ma quando il pianificatore, in virtù dei suoi piani “giusti e infallibili”, impedisce o limita la libertà di azione e di impresa, non è più una questione di gusti. Si entra in un altro ambito.

Fabrizio Bonali, 15 maggio 2023