La disfatta economica dei giallorossi

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L’Istat rileva la crisi della produzione industriale con un meno 1,4% nel quarto trimestre del 2019. Erano 7 anni che non si registrava una siffatta e brusca contrazione che su base annua si attesta con una flessione del 4,3%. Il dato sull’industria anticipa un trend negativo perché riflette le scarse aspettative sui consumi su cui vengono parametrati i programmi di produzione. Se l’imprenditore matura la prospettiva di una riduzione della domanda riadatta al ribasso la produzione.

Dunque, il clima economico generale si è intorpidito provocando effetti recessivi. Il governo Conte non sta favorendo un mutamento incoraggiante dell’habitat economico, anzi sta peggiorando i fattori che ne moltiplicano le disfunzioni. Il settore che più di tutti ha trascinato il comparto industriale verso il segno meno è stato quello automobilistico con un decremento del 13,9%. Mentre il settore agroalimentare registra, in controtendenza, un più 3%, confermandosi il fortilizio della ricchezza nazionale su cui occorre investire per valorizzare l’enorme patrimonio vincolato ai nostri territori.

I dati negativi sulla produzione industriale si aggiungono al ribasso del Pil e dell’occupazione che ci illustrano un quadro economico allarmante su cui è necessario intervenire con provvedimenti che restituiscano fiducia agli operatori economici. Il bluff del taglio del cuneo fiscale, con le irrisorie integrazioni alle buste paga, non impatta sul rilancio dei consumi, al contrario la propensione alla spesa rischia di comprimersi ancora di più per la minaccia persistente dell’inasprimento fiscale da cui ricavare risorse aggiuntive da destinare alle coperture fittizie della lotta all’evasione. Intanto, la maggioranza si esercita in tavoli di confronto per l’Agenda 2023 con la speranza di rilanciare l’azione di governo che risulta intorbidita dai dissidi interni.

I tavoli convocati da Conte servono solo ad annunciare novità che mediaticamente cancellino le defezioni pregresse, ma senza una visione politica omogenea, che invece si attarda nella defatigante mediazione fra le discrepanze endemiche alla maggioranza, il rischio è di prolungare l’agonia del Paese. Per incentivare la produzione ad esprimere le sue potenzialità si dovrebbe investire nelle infrastrutture immateriali e materiali (scuola, giustizia, Pa) e attrarre insediamenti produttivi con un programma realistico di semplificazione fiscale e burocratica.

Lo Stato impegna ogni anno circa 7 miliardi di euro per il reddito di cittadinanza che si è dimostrato un provvedimento assistenzialistico e fallimentare nella componente welfare to work se consideriamo che dei 2,3 milioni di sussidiati solo poco più di 28 mila ha trovato lavoro. Rimodulare certe esose spese, rivelatesi infruttuose, per indirizzarle a chi crea lavoro potrebbe essere un segnale incoraggiante, ma dubitiamo che i Cinque Stelle possano rinunciare alla loro bandiera ideologica seppure sia stata ammainata e confutata dalla realtà.

Andrea Amata, 12 febbraio 2020

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